Giustizia

Ergastolo ostativo e 41bis: caratteristiche e differenze di due strumenti necessari per combattere mafie e terrorismo

La vicenda di Alfredo Cospito ha fatto tornare d’attualità la condizione in cui vivono i detenuti in regime di “carcere duro”. Ma cosa significa in concreto e che rapporto ha con l’ergastolo ostativo? Numeri, nomi e dati

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di Consolato Minniti
2 febbraio 2023
08:25

La vicenda di Alfredo Cospito, primo anarchico a finire al 41-bis e da tre mesi in sciopero della fame, rimette al centro dell’agenda politica del Governo Meloni una delle questioni che più hanno tenuto banco negli anni scorsi e che di recente è tornata alla ribalta anche con riferimento all’ergastolo ostativo. Ma cosa è effettivamente il 41-bis e quali sono le differenze con l’ergastolo ostativo? Per comprendere la portata del regime detentivo denominato come “carcere duro” (ma tale appellativo risulta in parte improprio per le ragioni che si diranno) occorre fare un piccolo passo indietro di tipo storico.

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La nascita del 41-bis e la riforma dopo le stragi

La disposizione prevista dall’ordinamento penitenziario italiano viene introdotta dalla legge 663 del 10 ottobre 1986, con la cosiddetta “Legge Gozzini” dal nome del suo promotore. Inizialmente il 41-bis riguarda esclusivamente le situazioni di emergenza nelle carceri o di rivolta, concedendo la facoltà al Ministro della Giustizia di sospendere nell’istituto interessato, o in parte di esso, l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. Tale sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza, con durata limitata al raggiungimento del fine.


Nel 1992, a seguito della strage di Capaci, nella quale muoiono i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, insieme agli uomini della scorta, il Governo dell’epoca, attraverso il cosiddetto decreto antimafia “Martelli-Scotti”, decide di estendere il regime di 41-bis anche ad altre situazioni di ben determinate categorie di detenuti. I presupposti di applicazione esulano dalle sole rivolte o situazioni di emergenza, aggiungendosi anche «gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica» nei confronti dei detenuti per i reati previsti dal comma 1 dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (vedremo più avanti di quali reati si tratta), fra cui chiaramente quelli di associazione mafiosa.

La misura ha originariamente un carattere temporaneo, con un’efficacia limitata ad un periodo di tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione. Viene, però, prorogata per due volte, sino al maggio del 2002, quando il Governo Berlusconi porta all’attenzione del Parlamento un disegno di legge che prevede la “stabilizzazione” del regime 41-bis, nonché altre modifiche anche concernenti l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario.

Come viene richiesto il 41-bis e per quali reati è applicabile

La finalità precipua del regime detentivo del 41-bis è quella di impedire al detenuto di poter avere contatti con le organizzazioni criminali di cui ha fatto parte, recidendo ogni possibile legame e comunicazione con l’esterno e con gli altri detenuti, se non nei modi e con i limiti fissati dalla legge. L’errore che spesso si commette è quello di ritenere tale regime alla stregua di una maggiore afflittività della pena, come fosse una punizione ulteriore cui la persona è sottoposta. In realtà, le pesanti limitazioni previste, sebbene incidano in modo evidente sulle libertà del detenuto, servono proprio al raggiungimento degli scopi primari che tale istituto si prefigge.

Ma quali sono i reati per i quali è possibile applicare il 41-bis?

 Sono quelli previsti dal comma 1 dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario. In sintesi, vanno ricondotti in tale alveo i delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza (è il caso di Cospito); delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso; delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose; riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù; prostituzione minorile; delitto di chi, utilizzando un minore di anni 18, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni 18 a partecipare ad esibizioni pornografiche e chi fa commercio del materiale predetto; tratta di persone; acquisto e alienazione di schiavi; violenza sessuale di gruppo; sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri; associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Fermi restando i gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, il provvedimento è «emesso con decreto motivato del Ministro della Giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’Interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari, ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze».

Il provvedimento ha una durata pari a quattro anni prorogabili nelle stesse forme per successivi periodi di due anni. La proroga viene disposta quando «risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva, non è venuta meno», tenuto conto del profilo criminale, della posizione rivestita in seno all’associazione e della perdurante operatività del sodalizio criminale. Da rimarcare come il mero decorso del tempo non costituisca, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa.

Il 41-bis può essere applicato tanto a soggetti con condanne definitive, quanto a soggetti in attesa di giudizio, posto che la finalità di tale regime è proprio quello di impedire le comunicazioni con l’esterno. Circostanza che appare quanto mai stringente per coloro che sono ancora in attesa di sentenza e che ben potrebbero tentare una comunicazione con gli appartenenti all’associazione di cui fanno parte.

Le limitazioni poste in regime di 41-bis

I controlli sono quasi asfissianti. Le celle sono riprese da un circuito di videosorveglianza che consente una vigilanza attiva durante tutto l’arco della giornata, con la sola esclusione dei servizi igienici, per evidenti ragioni di privacy. Ma non è certamente questo che spaventa maggiormente i detenuti al 41-bis. La più forte limitazione è quella che si registra nei colloqui con i propri familiari. Essi non possono essere più di uno al mese da svolgersi in intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. In sostanza, i colloqui avvengono sempre attraverso un vetro divisorio, tranne che nel caso di figli del detenuto, inferiori ai 12 anni di età. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali che possono essere determinati, volta per volta, dal direttore dell’istituto, o se trattati di imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità competente. Tutti i colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione. Solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. Unica eccezione a tale limitazione è rappresentata dai colloqui con gli avvocati difensori, con i quali si potrà avere fino ad un massimo di tra volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari.

Pesanti sono poi anche le limitazioni delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno; i detenuti in regime di 41-bis sono esclusi dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati; vi è la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali, aventi competenza in materia di giustizia.

Ai processi, i detenuti in regime di 41-bis vi partecipano solo da “remoto” e mai in presenza.

Anche la socialità tra i detenuti è estremamente ristretta: due sole ore al giorno “d’aria” e soltanto con ben determinati altri detenuti (fino ad un massimo di quattro), anch’essi reclusi con il medesimo regime. In alcuni casi, soprattutto per i “capi” delle organizzazioni mafiose, vi è un’applicazione ancora più pesante del 41-bis, con apposite aree riservate, dove le misure sono rafforzate e la socialità è consentita solo con un altro detenuto, scelto tra quelli sottoposti allo stesso regime. Il caso più eclatante è certamente quello che ha riguardato Totò Riina che, rinchiuso nel carcere milanese di Opera, aveva le sue ore di passeggio solo con il detenuto pugliese Alberto Lorusso, affiliato alla Sacra Corona Unita. Riina con lui parlava di tanti argomenti e tutti i suoi colloqui erano regolarmente registrati. Non a caso se ne trassero anche fatti estremamente gravi in ordine alle stragi di mafia.

Quanti e dove sono gli istituti autorizzati ad ospitare i detenuti in regime di 41-bis

Non tutti gli istituti penitenziari possono ospitare detenuti in regime di 41-bis. È lo stesso articolo dell’ordinamento penitenziario a stabilire come i detenuti sottoposti al regime di speciale detenzione «devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria».

Attualmente i penitenziari italiani autorizzati ad ospitare i detenuti in regime di 41-bis sono quelli di: L’Aquila (dove si trova anche il boss Matteo Messina Denaro, di recente arrestato dopo 30 anni di latitanza), Milano Opera, Parma, Cuneo, Sassari, Spoleto, Novara, Nuoro, Roma Rebibbia, Viterbo, Terni, Tolmezzo.

I detenuti al 41-bis

L’ultima relazione sull’amministrazione della giustizia segnala come ad oggi i detenuti in regime di 41-bis siano in totale 728, di cui 12 donne, 7 internati ed un detenuto sottoposto alla disciplina dell’art. 6 legge 45/2001. Il dato non è però aggiornato con l’arrivo a L’Aquila di Matteo Messina Denaro, arrestato poche settimane addietro. La relazione, infatti, reca i dati aggiornati fino all’ottobre del 2022. Lo scorso anno sono state 16 le nuove applicazioni e 84 le persone per le quali tale regime è stato prorogato. Rispetto al 2021 (750 detenuti), però, il numero dei detenuti al 41-bis è diminuito. L’età media è di 58 anni, mentre quelli di età pari o superiore a 60 anni sono 340 (circa il 46,7% del totale).

Ancora, i detenuti che hanno avuto una nuova applicazione del 41-bis sono 16, quelli riassociati per riapplicazione del 41-bis II comma sono 5; i detenuti ai quali è stato prorogato il regime detentivo speciale sono 84, quelli declassati per inizio di collaborazione con la giustizia sono 2; quelli declassati in alta sorveglianza per accoglimento del reclamo da parte del Tribunale di Sorveglianza di Roma sono 4; quelli declassati per mancato rinnovo ministeriale sono 5; quelli scarcerati sono 26, mentre quelli deceduti ammontano a 5.

Oltre ai boss della criminalità organizzata (si pensi a gente del calibro di Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella per Cosa Nostra, oppure Pasquale Condello o Giuseppe De Stefano per la ‘Ndrangheta), al regime di 41-bis vi sono anche alcuni terroristi. Proprio Alfredo Cospito è stato di recente trasferito da Sassari a Milano Opera, mentre, ad esempio, nel carcere dell’Aquila si trova Nadia Desdemona Lioce, appartenente alle nuove Br e responsabile degli omicidi del sindacalista Marco D’Antona e del professor Marco Biagi.

In generale si contrano in regime di 41-bis: 242 detenuti per Camorra; 195 per ‘Ndrangheta; 232 per Cosa nostra; 20 per Sacra Corona Unita; 3 per Stidda; 32 per altre mafie; 4 per terrorismo interno/internazionale.  

L’ergastolo ostativo e le differenze con il 41-bis

In queste ultime settimane, tuttavia, si è assistito – subito dopo la cattura di Matteo Messina Denaro – ad una sottile confusione fatta anche da testate autorevoli tra 41-bis ed ergastolo ostativo. Essi, per quanto indirettamente collegati, sono due istituti completamente diversi.

Intanto, il 41-bis non prevede automaticamente la condanna all’ergastolo, ossia il “fine pena mai”. Si può essere ristretti in regime di 41-bis senza, per questo, essere condannati all’ergastolo. Di contro, si può essere condannati all’ergastolo senza essere in regime di 41-bis. Si è detto come tale normativa è concepita per tranciare, in determinati casi, i rapporti con le associazioni mafiose o terroristiche di riferimento o nelle altre situazioni previste dalla legge.

Quanto all’ergastolo ostativo, va prima fatta una premessa ed una differenziazione con l’ergastolo “semplice”.

Che cos’è l’ergastolo? Quali i benefici possibili?

L’ergastolo è la pena più elevata prevista dal nostro ordinamento e consiste, sinteticamente, nella carcerazione a vita. Viene inflitto nei casi di reati più gravi, come l’omicidio. C’è tuttavia una problematica di fondo: l’articolo 27 della nostra Costituzione prevede che la pena debba tendere alla rieducazione del condannato. Ciò, in astratto, cozzerebbe con l’ergastolo che, al contrario, suppone che la persona condannata non debba più avere la possibilità di uscire dal carcere. In realtà, le cose non stanno proprio così. Anche il condannato all’ergastolo, che in carcere mantenga una condotta regolare e che non risulti pericoloso per la società, può godere di permessi premio, della semilibertà e della libertà condizionale.

Per quanto riguarda i permessi premio, gli ergastolani possono accedervi, per un periodo non superiore in totale a 45 giorni all’anno, solo dopo aver espiato 10 anni di pena detentiva. Il permesso, dunque, consente di trascorrere qualche giorno (di solito due o tre) fuori dagli istituti penitenziari.

Quanto alla semilibertà, l’ergastolano, dopo aver scontato vent’anni di pena detentiva, e sempre che ricorrano le condizioni di cui sopra, può aspirare ad ottenerla. Essa consiste nel trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto penitenziario per svolgere attività lavorativa, formativa o di reinserimento sociale.

Con riferimento alla libertà condizionale, invece, l’ergastolano può aspirarvi solo dopo aver espiato 26 anni di pena detentiva. In tal caso, se ricorrono le condizioni di partenza, la persona condannata può uscire dal carcere in regime di libertà vigilata.

E l’ergastolo ostativo?

L’ergastolo ostativo, dunque, è una forma per così dire “aggravata” di ergastolo e che, in origine, non consentiva di accedere ad alcun tipo di beneficio di legge, a meno che il condannato non iniziasse a collaborare con la giustizia o la sua collaborazione risultasse ormai impossibile perché erano stati accertati tutti i fatti di cui poteva essere a conoscenza. Tale tipologia di pena è prevista, come abbiamo visto, dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e vede la sua applicazione nei casi di reati di estrema gravità con riferimento ad associazioni mafiose, terrorismo, sequestro a scopo di estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

La sentenza della Corte costituzionale e il decreto del Governo

La Consulta, investita della questione di legittimità costituzionale per due distinti casi di persone condannate all’ergastolo per delitti di mafia, ha recentemente sancito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede «la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale, sia, più in generale il pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo». Ed ha rinviato al Parlamento il compito di legiferare in merito.

Sul punto è intervenuto un decreto del Governo Meloni che ha mantenuto quasi intatto l’articolo 4-bis, modificando solo le modalità di accesso ai benefici penitenziari: non più solo attraverso la collaborazione con la giustizia, ma anche dimostrando di aver interrotto qualsiasi legame con la criminalità organizzata e di aver mantenuto una condotta carceraria corretta. Tale modifica, tuttavia, non si applica alle persone detenute in regime di 41-bis.

I numeri dell’ergastolo ostativo

Il Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale ha ricordato come, nel 2021, a fronte di 1801 persone che scontano la pena dell’ergastolo, 1259 sono quelle in una situazione cosiddetta “ostativa”. Mentre coloro che, nell’ultimo triennio, hanno avuto accesso alla liberazione condizionale sono stati complessivamente cinque.

La cattura di Messina Denaro, la trattativa e l’ergastolo ostativo

Anche tale argomento è tornato prepotentemente d’attualità nelle ultime settimane, quando Salvatore Baiardo, intervistato da Giletti, profetizzava, già mesi addietro, il possibile arresto di Messina Denaro in cambio dell’abolizione dell’ergastolo ostativo. Una dichiarazione rimasta senza alcuna prova né riscontro e che, ancor di più, si è scontrata con la volontà del Governo Meloni che ha ritenuto di lasciare pressoché intatto quanto previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario in tema di ergastolo ostativo. 

Giornalista
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