In tempi bui la Highway 10 trasportava gli schiavi dall’Africa all’America del Sud: oggi quella rotta marina è diventata un corridoio invisibile di cocaina diretta verso l’Europa. Tonnellate di droga partono dalle spiagge del Brasile nascoste tra le reti dei pescherecci o nelle stive di piccole navi turistiche. Un viaggio che dall’Amazzonia attraversa l’Atlantico per raggiungere i porti del Golfo di Guinea — da cui i carichi si disperdono verso le Canarie, l’Africa del Nord e infine il Mediterraneo. In parte, la regia di questi giganteschi traffici è guidata dalla Calabria.

Secondo i rapporti della Global Initiative Against Transnational Organized Crime (Gi-Toc) e dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (Unodc), questa rotta fornisce già il 30% della cocaina consumata in Europa. E la previsione – ripresa dell’ultimo numero dell’Espresso – è inquietante: entro il 2030, metà della polvere bianca che circola nel continente potrebbe arrivare da qui. Un traffico gigantesco che attira gli appetiti delle organizzazioni criminali dall’inizio alla fine della filiera. In Brasile il Pcc (Primeiro comando da capital) e il Comando Vermelho collaborano ormai stabilmente con broker appartenenti a gruppi criminali europei (albanesi e serbi) e con la ’ndrangheta. Il cuore di questo risiko globale è però l’Africa Occidentale: lì i brasiliani starebbero espandendo i loro interessi. E sempre in Africa, gruppi originari dei Balcani reclamano spazio. Le informazioni raccolte da Gi-Toc e rimbalzate anche nelle Procure antimafia italiane parlano di un monopolio della ’ndrangheta ormai più che in bilico.

Dalla Calabria al Golfo di Guinea: la caduta del monopolio della ’Ndrangheta

Per anni i clan calabresi hanno controllato la “rotta africana” con un sistema rodato. Dalle coste di Costa d’Avorio, Ghana, Guinea-Bissau e Sierra Leone, le ’ndrine gestivano container carichi di cocaina provenienti dal Sud America, diretti verso i porti europei. Un sistema oliato da corruzione, riciclaggio e accordi con autorità locali.

Il meccanismo si è incrinato nel 2019, con l’operazione internazionale “Spaghetti Connection”, che ha svelato la rete di collegamenti tra narcotrafficanti italiani e intermediari africani. Da quell’inchiesta è arrivato anche l’arresto di Giuseppe Romeo, esponente della potente ’ndrina di San Luca. Ma se l’azione giudiziaria ha colpito i vertici, non ha fermato il business: lo ha semplicemente trasformato.

Tra il 2020 e il 2023, spiega il Global Organized Crime Index, il mercato della cocaina in Africa occidentale è stato quello a crescere di più al mondo. L’indebolimento delle famiglie calabresi ha aperto spazi che nuovi attori si sono affrettati a occupare.

I nuovi padroni della rotta: i clan balcanici di Kavač e Škaljari

Sono nati da una faida interna in Montenegro, ma oggi sono protagonisti globali. I clan Kavač e Škaljari, di lingua albanese e con solide basi in Spagna e Brasile, sono riusciti a spezzare il monopolio calabrese. Si sono stabiliti in Africa occidentale nel 2019, proprio mentre la ’Ndrangheta veniva colpita dalle indagini europee.

Le indagini ne hanno scoperto quasi metà delle operazioni antidroga condotte tra il 2021 e il 2024, secondo Europol. Hanno rivoluzionato il traffico: non più solo container e grandi navi, ma piccole imbarcazioni, pescherecci e yacht privati, meno visibili ai radar e più difficili da intercettare.

Dietro la logistica c’è il Brasile, dove opera il Primeiro Comando da Capital (Pcc), una delle organizzazioni criminali più potenti del Sud America. È il Pcc a garantire i contatti con i fornitori sudamericani e a coordinare i carichi destinati alle coste africane.

Sfruttando la posizione già ben radicata nei Paesi produttori di cocaina in America Latina, i gruppi criminali balcanici stanno trasformando l’Africa occidentale in un hub logistico, di stoccaggio e di ridistribuzione dei carichi di cocaina diretti ai mercati di consumo europei e ad altre destinazioni.

Il modus operandi dei gruppi balcanici

«Questi gruppi si sono radicati in Africa occidentale a causa dell’aumento della domanda di cocaina in Europa, del rafforzamento dei controlli lungo le rotte dirette e dei legami sempre più solidi con i cartelli latinoamericani, in particolare con il Primeiro Comando da Capital (Pcc) del Brasile», spiega Fatjona Mejdini, direttrice dell’Osservatorio sulle economie illecite dell’Europa sudorientale della Global Initiative Against Transnational Organized Crime (Gi-Toc).

Il rapporto descrive come i gruppi dei Balcani occidentali utilizzino oggi molteplici metodi di traffico in Africa occidentale: rotte completamente containerizzate, spedizioni su imbarcazioni più piccole, trasbordi in mare aperto e riconfezionamento dei carichi nella regione per mascherarne l’origine. Queste organizzazioni collaborano con intermediari locali, incaricati di gestire la logistica e i contatti con attori africani.

L’alleanza con la ‘ndrangheta

«Le operazioni delle reti criminali dei Balcani occidentali hanno contribuito a fare dell’Africa occidentale un nodo fondamentale per il transito della cocaina diretta verso l’Unione europea», aggiunge Lucia Bird, direttrice dell’Osservatorio del Gi-Toc sulle economie illecite in Africa occidentale. «E il peso della regione nel traffico globale di cocaina è destinato a crescere».

Il rapporto suggerisce che le organizzazioni dei Balcani occidentali tenderanno a operare in modo sempre più autonomo in Africa, riducendo la dipendenza dalle alleanze con la ’ndrangheta, il Pcc e altri gruppi della stessa area, e investendo direttamente in infrastrutture e meccanismi di protezione. Come già avvenuto in America Latina, la loro espansione sarà probabilmente accompagnata da corruzione più profonda, episodi di violenza e frammentazione in cellule indipendenti.

La regione potrebbe inoltre assumere un ruolo crescente come rifugio per latitanti balcanici e come piattaforma per il riciclaggio di denaro.

L’Africa occidentale come nuovo hub globale della droga

Una volta sbarcata in Africa, la cocaina entra in un sistema che assomiglia sempre più a un hub logistico internazionale. I clan balcanici non si limitano a usare porti e magazzini esistenti: li acquistano, li ampliano, li trasformano.

Secondo il rapporto Gi-Toc, hanno investito in infrastrutture fisiche — porti secondari, depositi costieri, reti di trasporto interne — e stretto alleanze con imprenditori e funzionari locali. L’obiettivo è rendere i Paesi costieri dell’Africa occidentale una piattaforma sicura e flessibile per il traffico globale di stupefacenti.

Questa “industrializzazione” del narcotraffico consente una continua diversificazione delle rotte: ai container si affiancano rotte minori, che portano i carichi verso le Canarie o, via terra, nel cuore del Sahel.

La rotta del deserto: cocaina e jihad nel Sahel

È nel Sahel che la nuova rotta assume i contorni più pericolosi. Attraversa Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad e Mauritania, un’area destabilizzata da golpe, milizie e jihadisti.

Nel 2022, l’Unodc ha registrato 1.466 kg di cocaina sequestrati nel Sahel, contro i soli 13 kg annui del periodo 2015-2020. Una crescita vertiginosa che si spiega con il ruolo dei gruppi armati locali: i convogli attraversano il deserto nascosti nei camion, pagando una tassa — la zakat — ai gruppi jihadisti per garantirsi il passaggio sicuro.

È un circolo vizioso perché l’instabilità favorisce il narcotraffico, che a sua volta finanzia la guerra e alimenta nuova instabilità.

Superato il deserto, la cocaina raggiunge Marocco, Algeria e Libia. Da lì, piccole imbarcazioni la trasbordano in acque internazionali del Mediterraneo, dove a riceverla è ancora la ’ndrangheta, che continua a essere l’intermediario finale per l’ingresso nel mercato europeo.

L’ombra lunga del Mediterraneo

La “rotta africana” non è più un’alternativa, ma una dorsale strategica del narcotraffico mondiale. In essa si intrecciano mafie calabresi, cartelli sudamericani, clan balcanici e gruppi jihadisti, un’alleanza inedita che unisce economia criminale e geopolitica del caos.

E mentre i porti dell’Africa occidentale diventano i nuovi crocevia della cocaina globale, il Mediterraneo resta l’ultima frontiera: il luogo dove tutto si ricompone, e dove — come da decenni — la ’ndrangheta continua a garantire che la polvere bianca arrivi puntuale sulle coste europee.