Storia e memoria

La Repubblica rossa di Caulonia divide ancora: scontro sulla proposta di dedicare una piazza alla rivolta di 80 anni fa

La violenta insurrezione che nel 1945 fu guidata da Pasquale Cavallaro portò il centro reggino alla ribalta delle cronache nazionali. Adesso è scontro tra chi vorrebbe istituzionalizzare il ricordo di quei giorni e chi invece considera quanto avvenne una vergogna da cancellare

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di Vincenzo Imperitura
7 dicembre 2022
06:30
A sinistra Pasquale Cavallaro
A sinistra Pasquale Cavallaro

Una piazza per la Repubblica rossa, anzi no. A 80 anni dai cinque giorni che, sugli ultimi rinculi della guerra, portarono Caulonia e la sua rivoluzione alla ribalta delle cronache nazionali, il paese resta ancora diviso tra chi vorrebbe istituzionalizzarne la memoria e chi invece vorrebbe voltare pagina.

Una storia, quella della rivolta guidata da Pasquale Cavallaro, con cui Caulonia non ha mai fatto realmente i conti nonostante il tanto tempo trascorso, e che si riverbera ciclicamente lungo i decenni attraverso divisioni sempre più nette tra chi quell’esperienza la ritiene preziosa rivendicazione popolare e chi la bolla come parentesi di vendetta paesana dopo il ventennio fascista.


Una storia che si accese e si spense in poco meno di una settimana, maturata al tramonto dalla seconda guerra mondiale, in un angolo di Calabria poverissimo e ancora formalmente sotto occupazione anglo-americana. Una storia su cui sono stati scritti (da destra e da sinistra) decine di libri e su cui non esiste ancora una memoria condivisa.

Un morto ammazzato (il parroco del paese Gennaro Amato), un tribunale del popolo allestito in piazza, bandiere rosse sui tetti e casse d’esplosivo e mitragliatrici da campo lungo le vie d’accesso al paese. E poi più di 300 rivoltosi (tutti poveri e poverissimi che in quella rivolta avevano visto un’opportunità di riscatto) che quando tutto finì furono arrestati, umiliati pubblicamente e infine incarcerati prima dell’amnistia che segnò il libero tutti: quei pochi giorni all’inizio del marzo ’45 hanno inevitabilmente segnato un solco profondo nel paese. Solco che è riemerso, quando l’idea di assegnare alla memoria di quella esperienza la nuova piazza recuperata nel centro storico è diventata più concreta.

Galeotto fu un convegno estivo in cui, sull’onda del racconto di quei giorni, l’idea di dedicare la piazza alla Repubblica rossa di Caulonia ha cominciato a trovare sponde anche tra i banchi della maggioranza. Il successivo incontro pubblico, storia di qualche giorno fa, destinato a discutere le diverse tesi di ricostruzione degli eventi – con i loro risvolti politici anche a livello nazionale – aveva di fatto lasciato inalterate le posizioni delle due diverse “memorie” e si era risolto con un sostanziale nulla di fatto. A metterci il carico ci ha pensato però l’ex sindaco Ilario Ammendolia, che sulla vicenda ci ha scritto un paio di libri e che è tornato sull’argomento con una lettera aperta a sostegno. Lettera che ha provocato l’immediata reazione di chi, Luigi Franco, con i libri si trova altrettanto a suo agio e che sulla vicenda, da direttore editoriale di Rubbettino, ha pubblicato diversi volumi.

«Penso che il tempo sia maturo per dare ad una nostra piazza il nome “Repubblica rossa di Caulonia” – ha scritto l’ex sindaco – è stata una vicenda di popolo ed i protagonisti non furono angeli e santi ma gli ultimi della terra a cui per secoli è stata negata la felicità e la stessa dignità di persone umane. Il nome ad una piazza non cambierà il futuro del paese, ma avrà la funzione di ricordare migliaia di uomini e donne, spesso analfabeti, straziati dalle fatiche e dalle sofferenze».

«Insistere ancora una volta, nel voler intitolare una piazza alla Repubblica rossa – scrive a sua volta Franco – significa calpestare la memoria di una vittima innocente quale fu il parroco Amato; significa calpestare la memoria di quanti in quelle giornate subirono violenze inenarrabili, non agrari o irriducibili fascisti ma gente umile, sarti, calzolai, artigiani, agricoltori, comunisti dissidenti – scrive ancora Franco che sottolinea come il problema non sia tanto nella rivolta del ’45 – quanto al falso storico e alla mitizzazione di essa che si è fatta a partire della metà degli anni’70».

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