L’avvocata calabrese Patrizia Starnone insegna a Livorno ed è responsabile di progetti sulla legalità. In una lettera al Fatto Quotidiano ricorda il primo arresto di suo fratello 25 anni fa, l’aiuto offerto e l’incubo in cui è ripiombata la sua famiglia: «Strazio per le mie nipoti, ora aspettiamo il processo ma non si faccia in piazza»
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Dopo l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria sul traffico internazionale di cocaina che ha portato all’arresto di 21 persone, tra cui quattordici finite in carcere e sette ai domiciliari, il Fatto Quotidiano ha ricevuto e pubblicato una lettera di Patrizia Starnone. L’avvocata, docente di Diritto ed Economia all’Itis Galilei di Livorno, responsabile dei progetti sulla legalità nella sua scuola e autrice di testi sulla ‘ndrangheta: ha scelto di intervenire pubblicamente a nome della propria famiglia. Tra gli arrestati c’è anche suo fratello, Federico Starnone, 46 anni, di Locri.
«Quattordici persone in carcere, sette ai domiciliari, l’ennesimo colpo all’impero della droga messo in piedi dai clan di ‘ndrangheta, con Platì storica capitale. Ecco il risultato dell’ultima operazione della procura antimafia di Reggio Calabria, che ha individuato tre distinti gruppi criminali con base o referenti nel piccolo paesino della Locride, casa delle famiglie di ‘ndrangheta pioniere nel mondo del narcotraffico». Così Patrizia Starnone esordisce, ringraziando la Procura di Reggio Calabria e le forze dell’ordine per «l’inarrestabile attività di indagine volta a contrastare il crimine organizzato in tutte le sue forme e finalità».
Pur ricordando l’importanza della presunzione d’innocenza sancita dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Starnone prende «le distanze e ferma posizione, insieme alla mia famiglia, contro qualsiasi forma di attività illecita ascrivibile alla condotta di Starnone Federico nei capi di accusa, i quali devono essere chiaramente provati nel processo penale».
Il dolore per la vicenda, racconta, si è riacceso dopo 25 anni: «Ieri mattina la mia famiglia ha dovuto subire nuovamente l’acuto e insostenibile dolore di vedere il nome di Federico Starnone pubblicato in prima pagina sui quotidiani perché accusato di essere coinvolto in traffici illeciti di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Non esistono parole adeguate che possano esprimere il senso di impotenza, rabbia, delusione nella lettura di certe notizie». Per la famiglia «la tragica realtà diventa pesante come lo sguardo inquisitorio della gente che ti denuda e, mentre ti osserva, non sai cosa stia pensando di te, malgrado tu sia totalmente estraneo alle accuse mosse a un tuo fratello, figlio o padre che sia».
È un dolore che si insinua anche nel quotidiano: «Per quanto si cerchi di alzare muri e trincee il dolore, come un gas nervino, attraversa il buco della serratura, lo stipite della porta e si espande ovunque avvelenando ogni cosa».
Starnone ricorda il precedente penale del fratello e il sostegno offertogli dalla famiglia, ma oggi prende le distanze anche da quel passato: «Quando 25 anni fa mio fratello si trovò coinvolto in un processo penale per spaccio, come avvocato gli diedi tutto il supporto legale e come famiglia ci operammo tutti quanti per assisterlo moralmente e materialmente. Ma dopo 25 anni, adesso che Federico è anche padre di due splendide bambine, la lettura di certe notizie non lascia più spazio alla commiserazione pur restando e confidando nel beneficio del dubbio, sancito dal principio della presunzione di non colpevolezza».
La lettera si conclude con parole dure, rivolte alla responsabilità morale di chi ha figli: «Un padre non può esporre i propri figli a simili e deplorevoli esperienze, due bambine non possono vedersi piombare in casa le forze dell’ordine alle 4 di mattina e, si badi bene, non sto accusando le forze dell’ordine, ma chi come genitore ha il dovere morale di proteggere e garantire una vita serena ai propri figli».
«Voglio sottolineare – continua la lettera della docente – che come donna e come docente responsabile della legalità e impegnata in attività che hanno ad oggetto il disagio giovanile causato, soprattutto, dall’uso di sostanze stupefacenti, condanno e prendo ferma posizione, unitamente alla mia famiglia, contro qualsiasi organizzazione malavitosa e ogni tipo di illecito».
E con un ultimo appello alla giustizia, al di là di clamori e sospetti: «Adesso attendiamo l’esito del processo, non nelle piazze, non nei vicoli e nelle contrade, neanche nei gossip giornalistici, ma nelle aule di tribunale a ciò preposte per legge».