Salari bassissimi, orari estenuanti e diritti ridotti all’osso. È il bilancio che migliaia di lavoratori stagionali tracciano dell’estate appena conclusa. Nonostante il turismo contribuisca per oltre il 10% al PIL nazionale, i sindacati denunciano come il settore continui a poggiarsi sullo sfruttamento della manodopera. Una situazione fotografata dalla campagna “Cercasi Schiavo 2025” promossa dall’USB, che quest’anno ha raccolto decine di nuove testimonianze.

«I risultati della campagna – racconta Domenico Cortese, USB Vibo Valentia – sono stati quelli di aver portato ancora una volta alla luce lo stato dei lavoratori stagionali, che purtroppo quest’anno è peggiorato. Non troviamo un solo caso in cui un cameriere, un barista o un bagnino non lavori più delle ore previste dal contratto. Su 24 ore loro passano 18 ore al giorno al lavoro e poi le ultime 6 ore a riposarsi. Di solito ci sono contratti da 8 ore, diciamolo regolari, dove il lavoratore - che può essere un cameriere, un barista, un bagnino - lavora comunque minimo 12 ore».

Turni infiniti e tutele insufficienti: così vivono i lavoratori stagionali nel turismo. A fotografare una situazione in continuo peggioramento è l’Usb con la campagna “Cercasi Schiavo 2025”

Il sindacato ha aperto una pagina social, l’“Osservatorio sullo sfruttamento in Calabria”, che riceve segnalazioni continue: «Oltre agli orari fuori controllo, riceviamo denunce sulla pratica di dover restituire parte dello stipendio in contanti e sul lavoro completamente in nero», aggiunge Cortese. Il problema, denuncia l’USB, non è solo pratico ma anche normativo: «Il contratto stagionale è il più discriminante: non ha limiti nei rinnovi, quindi un lavoratore può restare precario a vita. E un’azienda può assumere tutti stagionali, senza alcun tetto. È un sistema che schiaccia i lavoratori e rafforza il ricatto occupazionale».

A peggiorare il quadro - spiega Cortese - ci sarebbero le ultime scelte del governo Meloni: «È stata estesa la possibilità di assumere stagionali anche nei periodi di semplice sovraproduttività, non legata alla stagione turistica e questo aumenta lo sfruttamento. Inoltre, oggi un lavoratore che si dimette deve maturare almeno 12-13 settimane di contributi per accedere alla Naspi, mentre prima bastavano i conteggi degli ultimi 4 anni. In questo modo viene scoraggiata qualsiasi forma di resistenza, persino la fuga da situazioni insostenibili».

E alle accuse sui giovani “fannulloni”, colpevoli di preferire sussidi come il Reddito di cittadinanza, la replica è secca: «Nulla di più falso. I dati lo dimostrano: quando c’era il Reddito le assunzioni nel settore non sono calate ma sono aumentate. Quello che manca non è la voglia di lavorare, ma la disponibilità ad accettare paghe da 3,5 o 4 euro l’ora. Per fortuna molti giovani cominciano ad avere una coscienza sociale maggiore e iniziano a rifiutare queste condizioni».

Cortese punta il dito contro imprenditori e istituzioni: «Nel turismo la competizione non si gioca sull’innovazione o sugli investimenti, ma sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro e sull’abbassamento dei salari reali. È il modo più rapido per restare sul mercato. E una parte della politica, spesso con interessi diretti nel settore turistico, asseconda questa logica».

Le proposte dell’USB non mancano: «Chiediamo innanzitutto il rispetto dei contratti collettivi nazionali, che pure sono inadeguati e rinnovati con aumenti minimi, ma che spesso neppure vengono applicati. Poi l’estensione della Naspi per coprire tutti i mesi invernali. Servono aumenti salariali, perché i salari reali negli ultimi cinque anni sono crollati del 10% e nel settore stagionale ancora di più. Chiediamo anche il diritto a un giorno libero settimanale, una questione proprio di salute psicologica per i dipendenti del settore turistico. Ma senza una mobilitazione dal basso – conclude Cortese – nessuna di queste rivendicazioni potrà diventare realtà».