Le minacce a Bellocco durante la scalata alla Curva Nord e la paranoia del rampollo del clan: «Mi chiamano juventino perché mi conoscono»
Una lettera minatoria preoccupò il capo della tifoseria interista nel novembre 2023. Lui e i suoi soci cercarono invano di individuarne il mittente: «Mi hanno detto di tornarmene a casa». Le tensioni attorno allo stadio: «I clan di Limbadi, Africo e Platì cercavano di infiltrarsi»
Antonio Bellocco si era fatto molti nemici nel suo tentativo di prendere il controllo della Curva Nord di San Siro, avamposto interista utile per chiudere affari e intessere rapporti. Il mondo ultrà milanese mescola criminalità organizzata e delinquenza da stadio. Bellocco, con i suoi modi poco accomodanti, prende il controllo e cerca di «fare da schermo ai tentativi di inserimento di altre famiglie mafiose». Gli investigatori – nell’informativa di riepilogo dell’inchiesta Doppia Curva – parlano di «documentati tentativi di penetrazione operati da personaggi aderenti a realtà criminali limbadesi, africesi e platiesi».
Proprio nei giorni delle trattative per ribadire il proprio ruolo di controllo sulle attività del tifo organizzato nerazzurro, quei nemici si manifestano nella cassetta della posta: Totò il nano riceve una lettera minatoria. È il 21 novembre 2023: le minacce arrivano a Pioltello, in casa del rampollo del clan di Rosarno. Nella Fiat 500 usata da Bellocco per i propri spostamenti vengono intercettate le conversazioni che commentano il contenuto di quel messaggio: «Nano di m… Marco e Andrea due mercenari… pensano solo ai piccioli… ti invitiamo a tornare nel tuo paese… bellu meu tu non sei hai intenzione di sederti». Marco e Andrea sono Ferdico e Beretta, membri del triumvirato che comanda in Curva Nord.
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Bellocco contatta uno i suoi fedelissimi (tra questi vi sono anche Ferdico e Beretta) per commentare i fatti: «Ora ora ho aperto la cassetta della posta… ho visto una lettera… e mi mandarono una lettera d’amore… mi ha detto di tornarmene a casa… juventino di m… si sono impegnati pure».
Mentre a Ferdico Bellocco chiede genericamente un incontro, con Beretta scende in dettagli: «Con la posta Andre… è timbrata, è timbrata… secondo me sono quelli proprio… che hanno dei problemi… che hanno fatto tutti i problemi secondo me… lo stesso tu, frate… occhi aperti, ciao fratellino». Sono lontani i tempi in cui Beretta diventerà un nemico e andrà in giro armato per difendersi dai propositi omicidiari di Bellocco. In quel momento Beretta offre la propria solidarietà all’amico: «Eh sì, sono quattro pisciat… di m… Antonio. Uno che fa un gesto del genere è proprio perché non vale un c… Allora adesso che ci vedono ancora più forti di prima fanno queste baggianate qua per creare scompiglio».
Quel sodalizio – è storia del 4 settembre scorso – finirà nel sangue: venti coltellate porranno fine alla vita di Totò il Nano nel parcheggio di una palestra. Per quanto Bellocco sia in una posizione di forza, la lettera minatoria non passa inosservata e lo induce «a pensare di “cambiare casa”», secondo quanto annotano gli investigatori. Il rampollo del clan non ha dubbi: «È uno che conosce, uno che ci conosce, capito? Questi due sono particolari che… secondo me è una cosa qui interna… Un giubbotto me lo sono preso». Il suocero Giuseppe Fabrizio ha qualche idea su chi possa essere il responsabile dell’affronto: «Per me quelli che vengono all’appuntamento sono». «Può esser, poi, può essere che l’avevano mandata prima». Assieme ai due c’è una donna che commenta così: «Ma loro lo sanno con chi si stanno mettendo? O non lo sanno?».
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Troppi dettagli nella lettera: «Gobbo è perché sono juventino! Quindi è uno che conosce (…) Nano mi chiama solo Marco, Marco nostro! Quindi è uno che ci conosce, capito? Questi due sono particolari che… secondo me è una cosa qui interna». È inevitabile che Bellocco e i suoi provino a risalire agli autori: attorno alla galassia ultrà si muovono gli appetiti dei clan calabresi per le centinaia di migliaia di euro di un business che abbraccia parcheggi, merchandising e narcotraffico. Quella lettera è soltanto la spia del malumore per la presenza ingombrante del rosarnese. In quel contesto, ogni messaggio va tenuto in considerazione, ogni minaccia va disinnescata. Siamo al confine tra paranoia e istinto di sopravvivenza.
Bellocco – che sarà ucciso perché qualcuno dirà a Beretta dei suoi propositi di farlo fuori per prendersi una fetta più grossa del business che gravita intorno alla Nord – cerca di capire chi sia il mittente e contatta un uomo di origini calabresi, per avere «informazioni su “un pacco” da lui ricevuto, inviando addirittura una foto contenente i dati della corrispondenza». L’interlocutore, «dopo averla visionata e dopo aver effettuato i dovuti accertamenti, ha subito riferito che la spedizione è transitata per il centro di smistamento di Peschiera Borromeo».
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I “compari” della Nord si attivano per risalire all’origine della missiva con scarsi risultati: l’unico riferimento rimane il passaggio a Peschiera Borromeo. L’episodio, però, ha conseguenze nella routine di Bellocco che, oltre a cercare una nuova abitazione, «si è subito determinato a sostituire la propria automobile». Passa da una Fiat 500 a una Nissan Juke. Gli investigatori, però, appuntano un dato sui due mezzi: entrambi, prima di finire in mano a Bellocco, sono state nella disponibilità di Mario De Rito, un 50enne di Vibo Valentia condannato a 10 anni e 4 mesi nel primo grado del processo Rinascita Scott. Incroci tra clan all'ombra della Madonnina: una coincidenza cerchiata in rosso nell’informativa.