La saga delle famiglie di ‘ndrangheta a Reggio Emilia raccontata dai collaboratori di giustizia. Dagli omicidi di Turuzzu Arabia e Dragone al proposito di uccidere U Nuguru. Gli accordi e i delitti gestiti dal carcere e la «falsa politica» delle cosche
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Salvatore Arabia, detto Turuzzu, racconta il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese, era persona di massima fiducia del boss Antonio Dragone di Cutro, nemico acerrimo della cosca Grande Aracri capeggiata dal boss Nicolino. A Reggio Emilia Turuzzu aveva il compito di raccogliere i soldi delle estorsioni e portarli a Dragone. La parola d’ordine era «mi manda u zzio Totò».
Un personaggio che dava filo da torcere, Salvatore Arabia; un uomo, racconta il collaboratore Antonio Valerio, capace di uccidere con un colpo alla testa una persona che, a Reggio Calabria, gli stava gridando contro.
Nella guerra di mafia tra Dragone e Grande Aracri – tra la fine degli anni ’90 e gli inizia del 2000 – anche Salvatore Arabia ha perso la vita nel 2003 a Steccato di Cutro.
Con la morte del fratello, l’attività criminale sarebbe passata, sostiene Cortese, nella mani di Giuseppe Arabia, detto U Niguru, descritto dal pentito Valerio come un grande rapinatore che non disdegnava droga o estorsioni mascherate da recupero crediti.
Pino U Nuguro avrebbe cominciato a gestire gli affari prima in mano al fratello già da dietro le sbarre grazie anche al contributo dei nipoti, i figli di Salvatore Arabia.
Il collaboratore di giustizia Antonio Valerio ha descritto la famiglia Arabia - i cui componenti sono stati tratti in arresto ieri con l’operazione Ten della Dda di Bologna – come una famiglia di spessore ‘ndranghetista legata al boss Antonio Dragone.
Una famiglia che i Grande Aracri – dopo gli omicidi di Turuzzu nel 2003 e del boss Dragone nel 2004 – volevano eliminare del tutto con l’omicidio di Giuseppe Arabia U Nuguru, sempre nel 2004.
Antonio Valerio sostiene che si era proposto di finanziare il delitto un imprenditore, elemento di spicco del sodalizio 'ndranghetistico emiliano, che accusava Pino Arabia di avergli ucciso il fratello.
Nicolino Grande Aracri, benché in galera, mandò un’imbasciata, con il beneplacito dei Sarcone – racconta Valerio – all’imprenditore: avrebbe dovuto compiere materialmente l’omicidio e questi si era rivolto ad Antonio Valerio proponendogli di assisterlo nell’agguato, guidando la moto mentre lui sparava. Gli accertamenti che gli investigatori hanno messo in atto hanno, in effetti, dimostrato che, compatibilmente al periodo cui si riferisce il collaboratore, l’imprenditore aveva comprato una moto.
Il proposito omicidiario saltò con l’arresto di Giuseppe Arabia nel 2005, con l’operazione Grande Drago, che lo ha tenuto in prigione fino al 2014.
Ma, si sa, gli affari valgono più delle vendette. E infatti Antonio Valerio racconta che, dopo il sangue versato fino ai primi anni 2000, in tempi più recenti c’è stata collaborazione tra i vari gruppi di ‘ndrangheta, come tra Arabia e Sarcone. Antonio Valerio la chiama «falsa politica», una sorta di comportamento volto a salvare le apparenze: «come dire, davanti ci salutiamo, ma dietro ci si infila le coltellate». Perché l’onore conta ma gli affari contano ancora di più e il collaboratore Valerio lo sottolinea: i Dragone, i Ciampà e i Grande Aracri ancora possiedono le royalties di Reggio Emilia.