Maestrale, gli interessi dei clan vibonesi nelle parole del pentito Arena: dalla droga all’usura fino all’ospedale
La deposizione del collaboratore di giustizia che in aula bunker ha tirato in ballo diversi personaggi all’ombra dei clan Mancuso, Lo Bianco, Fiarè e Galati
Dall’usura agli stupefacenti sino alla mensa dell’ospedale di Vibo Valentia. Quindi alleanze, tradimenti e inganni all’ombra dei clan del Vibonese. Un “fiume in piena” Bartolomeo Arena nel corso della deposizione nel maxiprocesso nato dalle inchieste Maestrale-Carthago, Imperium e Olimpo. Diversi gli imputati tirati in ballo, così come alcuni personaggi con gli stessi in rapporti. «Conosco personalmente Diego Bulzomì – ha dichiarato il collaboratore rispondendo ad una specifica domanda del pm – in quanto mio amico di infanzia. Per parte di madre appartiene ad una famiglia perbene, mentre il padre era un ex macellaio che si è arricchito con l’usura. Io e Luigi Vitrò - altro mio amico da una vita e facente parte della ‘ndrina dei Fiarè di San Gregorio, nonché in società con Rocco Iannello di Mileto nel traffico di droga – abbiamo presentato Diego Bulzomì a tutti gli altri del gruppo e insieme abbiamo fatto tante cose illecite. In carcere Diego Bulzomì ha stretto una forte amicizia con il boss Diego Mancuso e poi si è legato anche ai Pardea di Vibo e a Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona. Insieme a me – ha proseguito ancora il collaboratore – Diego Bulzomì si è occupato di stupefacenti, dalla cocaina alla marijuana, oltre che di danneggiamenti. Poi si è dedicato alle truffe e all’usura legandosi a Gianfranco Ferrante. Diego Bulzomì faceva usura a livelli grossissimi, prestando denaro a imprenditori e commercianti, ma io negli ultimi anni mi sono allontanato da lui. Ricordo però quando mi raccontò che aveva interessi a Roma, Milano e persino alle Canarie».
Quindi la domanda del pm che svela i motivi dell’interesse della Procura distrettuale per tale figura (non imputata) anche nel maxiprocesso Maestrale: «Diego Bulzomì è stato sposato con l’avvocato Azzurra Pelaggi, ma di lei - ha concluso Arena sull’argomento - non so riferire nulla». Azzurra Pelaggi, 47 anni, divorziata da Diego Bulzomì, figura tra gli imputati del maxiprocesso con l’accusa di truffa aggravata dalle finalità mafiose con fatturazione per operazioni inesistenti al fine di lucrare sul sistema di accoglienza nel Vibonese per i minori stranieri non accompagnati. Luigi Vitrò è stato invece condannato anche in appello a 3 anni nel troncone dell’abbreviato di Rinascita Scott per reati legati alla detenzione di armi.
Le parole sul boss Diego Mancuso
Il boss di Limbadi Diego Mancuso, 71 anni, detenuto ed imputato nel maxiprocesso in quanto coinvolto nell’inchiesta Olimpo è quindi un’altra figura sulla quale si è soffermato Bartolomeo Arena nel corso della sua deposizione. «Non l’ho conosciuto personalmente ma so che è una figura di peso del clan Mancuso – ha riferito il collaboratore – ed ho appreso che dopo Luigi Mancuso veniva lui per importanza nella cosca di Limbadi. Ciò mi è stato riferito da Carmelo D’Andrea e da Leonardo Manco di Vibo Valentia, quest’ultimo padre di Michele Manco che stava nel mio gruppo. Mio nonno aveva quasi cresciuto nell’ambito della ‘ndrangheta sia Diego Mancuso che a suo fratello Peppe Mancuso, e nonostante questo mio nonno è stato poi sparato dagli stessi Mancuso mentre mio padre è stato ucciso per lupara bianca da Peppe Mancuso. Il soggetto di Vibo Valentia che ultimamente era più vicino a Diego Mancuso era Leoluca Lo Bianco, alias U Rozzu, soggetto di spessore del clan Lo Bianco che è stato anche il mio mastro nella cosca. Leoluca Lo Bianco era solito recarsi spesso da Diego Mancuso per riferirgli tutte le dinamiche interne della consorteria dei Lo Bianco e tutti gli affari mafiosi su Vibo città. Per questo Leonardo Manco mi raccomandò di guardarmi da Leoluca Lo Bianco, visto che all’epoca – ha raccontato Bartolomeo Arena – io e altri soggetti ci stavamo staccando dalla cosca Lo Bianco per formare un autonomo gruppo». Leoluca Lo Bianco è deceduto nel maggio scorso. Nel maxiprocesso Rinascita Scott era stato condannato anche in appello a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa.
Ascone, Coscarella e Mazzeo
Bartolomeo Arena (che è assistito dall’avvocato Giovanna Fronte) nel corso dell’esame si è inoltre soffermato su altri tre imputati: Salvatore Ascone, Gregorio Coscarella e Michele Silvano Mazzeo. «Salvatore Ascone di Limbadi è chiamato U Pinnularu ed appartiene alla famiglia Mancuso. Con il mio gruppo – ha spiegato il collaboratore – ci siamo riforniti da lui di sostanze stupefacenti tramite Giovanni Gallone di Nicotera, detto Pizzichiju». Su Gregorio Coscarella ha invece riferito che si tratta del «nipote del boss di San Gregorio d’Ippona, Rosario Fiarè, e fa parte di tale cosca. A riferirmi ciò – ha raccontato Arena – sono stati i vibonesi Vincenzo Lo Gatto e Domenico Prestia. Coscarella si occupava di sostanze stupefacenti, ma con una sua ditta gestiva anche la mensa dell’ospedale di Vibo Valentia per conto della ‘ndrina dei Fiarè, tanto che erano diverse le persone di San Gregorio che lavoravano con la mensa ospedaliera».
Infine su Michele Silvano Mazzeo di Mileto, Bartolomeo Arena ha spiegato che aveva “sposato una Galati e dipendeva anche dal locale di ‘ndrangheta di Seregno. Filippo Grillo di Nerviano mi raccontò – ha concluso il collaboratore – che Michele Silvano Mazzeo non andava tanto d’accordo con i Galati di Mileto, suoi parenti, e riteneva il boss di Zungri Peppone Accorinti responsabile dell’omicidio del proprio fratello. Il boss di Mileto Carmine Galati, poi morto in un incidente con il trattore, era invece intimo amico di Peppone Accorinti”.