«Sono 21 anni che se non lo ricordo fino a che vivo, lo dimenticano tutti». Liliana Carbone, maestra elementare in pensione, non ha mai smesso di lottare per ottenere verità e giustizia per suo figlio. Era il 24 settembre 2004 quando in un letto dell’ospedale di Locri moriva dopo una settimana di agonia Massimiliano Carbone, imprenditore trentenne titolare di una cooperativa di servizi che dava lavoro anche a giovani disabili, freddato da un colpo di lupara mentre rientrava a casa da una partita di calcetto sette giorni prima, sotto gli occhi del fratello minore. Aveva intrapreso una relazione con una donna sposata da cui ebbe un figlio, oggi 26enne.

Il delitto di Massimiliano Carbone

Come ogni venerdì Massimiliano era andato a giocare a calcetto con gli amici insieme al fratello Davide. Con Davide quella sera era rientrato a casa, una calda serata di fine estate. Davide stava parcheggiando, mentre Massimiliano stava entrando nel giardino condominiale quando all'improvviso si accascia, colpito da un unico colpo di lupara all'addome. A sparare con un fucile a pallettoni qualcuno appostato dietro il muretto che cinge il giardino. Venne portato di corsa al Pronto Soccorso dell'ospedale di Locri. La famiglia Carbone riferì subito agli inquirenti quale poteva essere l'origine dell'azione violenta. Massimiliano lottò sei giorni in ospedale tra la vita e la morte. «Prenditi cura di mio figlio» le ultime parole che pronunciò alla madre prima di morire il 24 settembre, il giorno del compleanno di Liliana.

Le indagini apparvero subito lacunose, infatti nessun rilievo fu effettuato dai RIS e la perizia balistica venne eseguita solo 22 mesi dopo. Dopo 30 mesi il corpo venne riesumato per l'esame del Dna e il riconoscimento della paternità di Massimiliano. L'unico indagato è stato prosciolto grazie a un alibi fotografico che lo ritraeva a una festa di compleanno. Il caso fu poi archiviato nell'ottobre del 2007.

Il dolore di Mamma Liliana

Da allora mamma Liliana non si dà pace. «Chiedo giustizia con troppa passione? Non parlo del mio dolore – racconta - ma se invece tracimo rabbia che si veda e che si senta e che si immagini quale potrebbe essere la loro rabbia se fosse toccato a loro. Può succedere che un domani un’altra mamma se lo veda davanti come me lo sono visto io. Se chiedo giustizia non chiedo quella punitiva dei tribunali, ma una a cui fosse propedeutica la verità, per un ragazzo che ora ha 26 anni, figlio di Massimiliano». Per ricordarlo quest’anno Liliana ha voluto usare le parole di Rami, poeta turco del 1200: “Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetto laggiù”. «Chi sono i miserabili? Non sono i killer di mio figlio e chi li ha ospitati, ma sono tutti quelli che hanno preso il caso alla leggera e non è stato risolto. Un magistrato un giorno mi disse “era un caso da risolvere in 8 giorni”. Si vergoni chi non ha avuto rispetto del nostro dolore».