Studenti, attivisti, magistrati e garanti in piazza per sostenere chiedere giustizia e verità. Una giornata di dignità civile in un paese dove in troppi avevano scelto di tacere. Il procuratore Musolino: «Non siete soli»
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Non è stata una marcia, né una protesta. È stato un incontro. Una manifestazione nata dal basso, pensata da studentesse e studenti della provincia reggina, giovani che hanno deciso di rompere il silenzio, di portare parole là dove per settimane c’è stato solo imbarazzo e giudizio. Hanno scelto di farlo nel cuore stesso della frattura, non per provocare, ma per stare accanto. Perché quando una ragazza di quattordici anni subisce una violenza, non è lei a dover vergognarsi. È la comunità che deve guardarsi allo specchio.
C’è stato un tempo in cui Seminara taceva. Le persiane abbassate, le parole sussurrate, le mani giunte dietro la schiena. Un tempo in cui la violenza si poteva commentare solo con frasi svuotate, con lo sguardo voltato altrove, con la sentenza velenosa sussurrata all’orecchio: «se l’è cercata».
Quel tempo non è finito. Ma oggi, in una piazza rimasta troppo a lungo ferma e vuota, una nuova voce ha cominciato a farsi sentire. È arrivata da fuori, da chi ha scelto di esserci nonostante tutto, e si è fatta spazio con la sola forza che hanno i gesti veri: una presenza senza rumore, ma piena.
In un pomeriggio che non ha avuto bisogno di slogan, cartelloni scritti a mano, sguardi densi e mani tese hanno ridato senso a un luogo che sembrava incapace di contenere qualcosa di diverso dal silenzio. Ed è proprio in quel vuoto che i ragazzi hanno scelto di entrare, senza retorica, ma con la necessità profonda di esserci.
Il network LaC ha accompagnato l’iniziativa in qualità di media partner, documentando ogni momento della manifestazione. L’evento sarà raccontato in uno speciale televisivo in onda nei prossimi giorni su LaC Tv e disponibile anche su LaC Play, per offrire spazio e voce a chi ha scelto di esserci e testimoniare.
Il peso del contesto
Non era scontato che accadesse. Non a Seminara. Non in un luogo dove, dopo la violenza, non è arrivato un abbraccio collettivo, ma un mormorio, una rimozione, a tratti persino un giudizio. A far rumore, in quei giorni, non erano le voci vicine alla vittima, ma le frasi a mezza bocca, i sospetti insinuati, le accuse mimetizzate da chiacchiere da bar.
«Se l’è cercata». Parole come pietre, raccolte e raccontate dalla stampa. Parole che hanno ucciso una seconda volta l’umanità. Come se denunciare fosse colpa, come se essere aggredita significasse esserselo meritato. E proprio da qui, da questo vuoto colpevole, è arrivata la risposta più inaspettata. Quella dei ragazzi. Hanno visto l’assenza, l’hanno sentita come un’offesa, e hanno scelto di fare ciò che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di fare: venire a Seminara. Esporsi. Parlare. Nonostante le difficoltà logistiche di un territorio sempre più emarginato e mal collegato.
Il loro non è stato un atto contro, ma un atto per. Per dire che una comunità che tace è complice, che chi si gira dall’altra parte, si rende parte. E che il tempo delle giustificazioni è finito. La scelta di portare una manifestazione proprio qui, proprio oggi, ha avuto il sapore di una rottura simbolica. Una frattura dentro la frattura. Una linea netta, tracciata da chi non ha voluto ergersi a giudice, ma a presenza consapevole, a voce amica, a corpo accanto.
Non tutti a Seminara hanno accolto. Alcuni hanno osservato da lontano, altri non si sono fatti vedere. Ma qualcuno ha ascoltato. E questo, in certi territori, è già un fatto storico.
Il gesto dei liceali e la vicinanza delle istituzioni
A organizzare l’iniziativa è stato un gruppo di studenti e studentesse dei licei della provincia reggina, che hanno scelto di raggiungere Seminara per testimoniare vicinanza alla vittima e alla sua famiglia. Le parole più forti, oggi, sono state quelle pronunciate senza forzature. Con fermezza, ma senza sovrapporsi. Quelle che hanno restituito ai presenti un’idea di Stato non distante, non retorico, ma capace di esserci nel momento giusto, nel luogo esatto in cui si è prodotto il vuoto.
Carlotta Mulè, che ha coordinato l’intero incontro, ha aperto con un intervento asciutto, sentito, costruito sul bisogno di restituire senso alla presenza: «Essendo soprattutto dei liceali, dei ragazzi molto più vicini – sia a livello di ideologie che di età – alla ragazza, abbiamo sicuramente l'opportunità di mostrarle la nostra vicinanza in questo periodo molto difficile per lei: prima, durante e dopo. Abbiamo pensato che potesse essere un modo, per lei e per la famiglia, di sentirsi meno soli. Sapevamo che non sarebbe stato semplice arrivare qui, ma la volontà è quella di continuare con altre attività, proprio per non lasciare più nessuno solo. È stato molto difficile arrivare fin qui con parte degli studenti, ma sicuramente sarà la prima di tante lunghe tappe. Questo è un punto di partenza».
All’iniziativa hanno preso parte, tra gli altri, la senatrice Tilde Minasi, il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Stefano Musolino, la presidente della Fondazione Scopelliti Rosanna Scopelliti, la giudice Viviana Piccione, la delegata dell’Università Mediterranea Patrizia Frontera, l’attivista Samanta Nigro di Break The Silence, Siria Scarfò, Sergio Gaglianese, Tiberio Bentivoglio e Raffaele Fazio per La tazzina della legalità, Domenica Imbesi di Libera, Lidia Papisca dell'Associazione Grace, Giovanna Roschetti del M5S della provincia reggina, l’avvocata Saveria Cusumano per la CPO regionale, Maria Rosaria Russo e Anna Maria Stanganelli, garanti regionali rispettivamente dei diritti dei detenuti e della salute, Francesca Mallamaci coordinatrice centro antiviolenza e casa rifugio "Angela Morabito" dell'Associazione Piccola Opera Papa Giovanni Onlus di RC, il sindaco di Villa San Giovanni Giusy Caminiti, il primo cittadino di Seminara Giovanni Piccolo, oltre a rappresentanti istituzionali e forze dell’ordine.
In rappresentanza dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è intervenuta Patrizia Frontera, delegata alle pari opportunità del Dipartimento Diceam e componente del Comitato Unico di Garanzia dell’Ateneo. «Che la cultura della legalità passi proprio dai nostri centri di cultura è fondamentale – ha dichiarato -. Era fondamentale esserci oggi per testimoniare come un presidio di cultura e di formazione come l'Università Mediterranea sia molto attento a questi temi. Nell'attività che l'Ateneo svolge, sia dal punto di vista formativo che educativo, si mira sempre a sottolineare l'importanza delle pari opportunità, dell'uguaglianza di genere, soprattutto a non voltarsi mai dall'altra parte. Perché il problema non è solo chi commette le azioni, ma anche chi si gira dall’altra parte senza manifestare dissenso».
Viviana Piccione, magistrato del Tribunale di Palmi, ha voluto concentrarsi sul peso che porta chi denuncia, ma anche sulla necessità che le istituzioni non restino spettatrici. «Siamo qui per sostenere la legalità, per sostenere la formazione dei giovani verso questi valori che non possono essere lasciati soltanto alla fase repressiva – le parole del magistrato dalla piazza di Seminara -. Vogliamo contribuire a rinnegare ogni forma di vittimizzazione secondaria e sostenere le giovani donne in un percorso di denuncia, rispetto al quale nessun timore e nessuna vergogna ulteriore devono aggiungersi al trauma subito. Il processo è una vicenda dolorosa, difficile. Ma la magistratura è consapevole e sostiene chi ne è vittima affinché possa portare a termine il percorso ottenendo giustizia».
Samanta Nigro, attivista transfemminista e fondatrice dell’associazione Break The Silence ITA, ha approfondito il tema del femminismo intersezionale e della necessità di includere nei discorsi pubblici anche la discriminazione territoriale subita da chi vive e cresce nel Mezzogiorno. «Una donna non è soltanto una donna – ha affermato –. Spesso non è discriminata solo in quanto tale: può essere nera, disabile, povera, queer, migrante. O meridionale». L'attivista ha richiamato il contesto in cui è cresciuta e ha parlato della Calabria come luogo dove, troppo spesso, «rompere il silenzio è ancora più difficile per colpa della paura, dell’omertà».
Tra le testimonianze più forti, quella di Siria Scarfò, ex suora, abusata da un sacerdote per sette anni. Ha preso la parola con voce rotta dall’emozione, ma ferma nella sua scelta di esporsi: «Parlare non è importante, è fondamentale. Sono felice di essere qui, di poter dare la mia testimonianza. Mi auguro che questa manifestazione sia un segno evidente e profondo che le cose possono e devono cambiare».
A intervenire anche Sergio Gaglianese, fondatore del progetto La tazzina della legalità, che ha espresso delusione per l’assenza della comunità locale e ha rivolto un appello diretto: «Questo paese ha abbandonato le vittime di un reato crudele. C’è tanto di legalità da ripristinare. Davanti a un fatto del genere, oggi avrei voluto vedere tutta la città. Se non avete il coraggio di denunciare, almeno isolate chi fa del male. Non si può accogliere con un caffè chi rappresenta la negazione della dignità. La 'ndrangheta è come la mafia: una montagna di merda. E va trattata come tale».
Presente alla manifestazione anche la senatrice Tilde Minasi, che ha voluto rivolgersi direttamente ai più giovani. «La vostra voce oggi è forte. La nostra determinazione incrollabile. Ci uniamo per dire no alla violenza. Il vostro futuro è luminoso e non dovete mai permettere che venga offuscato dalla violenza. Da oggi in poi, non dovete più tacere davanti a questi episodi. Continuate a dar voce, sempre».
Infine, Rosanna Scopelliti, presidente della Fondazione intitolata al padre Antonino, ha lanciato un messaggio chiaro: «È importante far vedere che lo Stato c’è. Che le istituzioni e le associazioni sono accanto a tutte le vittime di violenza. A chi ha paura di denunciare dico: non siete soli. Serve una comunità che non sia sorda, cieca e muta. Non siamo qui per giudicare Seminara, ma per dare forza a chi ha voglia di mettersi in gioco».
A chiudere la giornata è stato il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Stefano Musolino, con un intervento diretto e privo di formalismi. Ha voluto rivolgersi ai più giovani, ringraziandoli per la loro scelta coraggiosa. «Lo Stato c’è ed è al vostro fianco. Ringrazio voi per aver partecipato, per avere scelto di esserci, per aver fatto la cosa giusta. Il mio appello è a non mollare, a continuare. La vostra voce è importante. Il cambiamento parte da qui».
La posta in gioco
Non è stato solo un momento di ascolto. Né una semplice manifestazione. A Seminara oggi è accaduto qualcosa di più profondo e più necessario: un’assunzione di responsabilità, costruita con le parole di chi ha scelto di esserci, anche senza aver nulla da riparare.
Il gesto compiuto dai liceali reggini, sostenuto da alcune istituzioni presenti in piazza, ha rappresentato una rottura netta con la cultura del disimpegno, con l’abitudine a tacere, con l’idea che la giustizia riguardi sempre qualcun altro. Portare i corpi in un luogo ferito, esporli alla freddezza dell’indifferenza, significava dire che non si può più lasciare che le cose accadano senza conseguenze.
A fare la differenza, in questa giornata, non è stata la quantità dei presenti, ma la qualità del gesto. Nessuna retorica, nessuna bandiera. Solo una generazione che ha sentito il dovere di colmare un vuoto lasciato da altri, e che ha scelto di farlo nel modo più semplice e più scomodo: mettendoci la faccia.
In un paese che nei mesi scorsi è diventato il simbolo di un’omertà ancora resistente, e di un’opinione pubblica ancora disposta a colpevolizzare le vittime, l’evento di oggi ha rappresentato una discontinuità. Fragile, forse. Ma reale. E soprattutto necessaria.
Perché anche il silenzio ha delle responsabilità. E oggi, quel silenzio è stato interrotto.