Morì al Gom di Reggio Calabria a 17 anni, la famiglia di Domenico cerca ancora risposte

VIDEO | La Procura ha chiesto l'archiviazione del caso, ma i periti non escludono che il trattamento medico sia stato insufficiente. I legali ora potrebbero avviare una causa civile  

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di Agostino Pantano
6 settembre 2020
13:52

Ci sono prime, inquietanti, certezze sulla morte di Domenico Ambrogio sul cui decesso nel Grande ospedale di Reggio Calabria la procura aveva aperto un’inchiesta. Al di là della decisione dei magistrati di chiedere l’archiviazione, è quanto emerge dalla perizia giurata ad alimentare dubbi e perplessità tra gli stessi legali della famiglia reggina.

 


«Oggi finalmente sappiamo che il ragazzo è morto per una polmonite e mentre aveva un avvelenamento in corso – spiega l’avvocato Giosuè Megna – ma la procura esclude che vi siano responsabilità penali, sebbene in un quadro di sottovalutazione del caso che sono gli stessi periti a certificare».

 

Sembra assurdo ma è così, Domenico nei 20 giorni del ricovero non sarebbe stato mai trattato né per la polmonite contratta, né per gli effetti che la misteriosa presenza di metalli pesanti nel suo corpo ha certificato dopo l’autopsia disposta a seguito della querela sporta.

 

«La procura non ha trascurato il caso», ammette Emanuela Annetta che assieme a Megna patrocina le ragioni della mamma di Domenico, Cinzia Versace, e dell’altro figlio, Santo Ambrogio - «ma mancano le risposte sull’origine della polmonite letale, condizione che non ci fa escludere di opporci alla archiviazione». La giurisprudenza italiana ha reso più complicato stabilire la colpa medica, ma l’approdo dell’indagine - che era stata aperta sul ruolo avuto da una quindicina di operatori sanitari e che non escluderebbe responsabilità dell’organizzazione sanitaria - lascia aperta la possibilità di una certamente più lunga via civilistica.

 

Tanto più che secondo i legali non sarebbe affatto da escludere che Domenico la polmonite l'abbia potuta contrarre proprio in ospedale. «I periti della procura nominati in due momenti diversi proprio per via dello scrupolo dismostrato dai magistrati – conclude Megna – certificano come si è di fronte ad una colpa lieve, che non esclude responsabilità dell’organizzazione sanitaria ospedaliera che non assicurò le cure che potevano salvare il ragazzo, che anzi i medici dimisero una prima volta e tentarono di dimettere una seconda volta, trovando le resistenze della mamma di Domenico che vedeva sotto i suoi occhi spegnersi il figlio il cui peggioramento era evidente. Alla luce di questo stiamo anche valutando se percorrere la via della responsabilità civilistica da imputare all’Azienda ospedaliera».

Giornalista
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