La “strana” morte di Santa Buccafusca e il sospiro di sollievo dei clan

La cosca Accorinti temeva conseguenze giudiziarie devastanti dalla collaborazione della moglie del boss Pantaleone Mancuso deceduta ingerendo acido muriatico

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di Giuseppe Baglivo
30 luglio 2020
11:50
A sinistra Santa Buccafusca; nel riquadro in alto Pantaleone Mancuso, in basso Nino Accorinti
A sinistra Santa Buccafusca; nel riquadro in alto Pantaleone Mancuso, in basso Nino Accorinti

Temevano conseguenze giudiziarie devastanti anche a Briatico dall’avvio della collaborazione con la giustizia di Santa (Tita), Buccafusca, la moglie del boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, deceduta il 18 aprile del 2011 all’ospedale di Reggio Calabria dove era stata ricoverata due giorni prima per aver ingerito acido muriatico. Un decesso sul quale si attende che venga fatta piena luce anche perché rimane ad oggi inevasa una domanda che più volte gli inquirenti in questi anni si sono fatti: «Poteva Santa Buccafusca ingerire volontariamente una consistente quantità di acido muriatico»?

Un capitolo della sentenza del processo celebrato con rito abbreviato nato dall’operazione antimafia “Costa Pulita”, depositata di recente a quasi due anni dal verdetto, affronta anche il decesso di Tita Buccafusca e serve a provare i legami mafiosi fra il clan Accorinti di Briatico e il boss di Nicotera Marina Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. 


 

La tragica vicenda di Santa Buccafusca «costituisce, nella sua drammaticità – scrive il giudice Pietro Carè – un’ulteriore conferma della natura criminale del legame fra il clan Accorinti e Pantaleone Mancuso detto Scarpuni. Infatti, in data 14 marzo 2011, profondamente turbata dall’omicidio del broker della droga Vincenzo Barbieri, avvenuto a San Calogero la sera del 12 marzo 2011, Santa Buccafusca – moglie di Pantaleone Mancuso – si presenta unitamente al proprio figlio di 15 mesi alla Stazione dei carabinieri di Nicotera Marina rendendo spontanee dichiarazioni su Barbieri e lasciando trasparire la volontà di collaborare con la Giustizia e di aderire ad uno specifico programma di protezione. Tuttavia, nel giro di poche ore, la Buccafusca recede dall’iniziale intento collaborativo.

Sennonché, in questo arco temporale vengono intercettate una serie di conversazioni e comunicazioni tra gli esponenti del clan Accorinti caratterizzate dapprima da una profonda preoccupazione di essere coinvolti dalle dichiarazioni dell’inaspettato testimone di giustizia e poi dal grande sollievo per essere stato scongiurato un così grave pericolo».

 

Il giudice prende in esame diverse intercettazioni, tutte fra personaggi ritenuti organici al potente clan Accorinti-Bonavita di Briatico. Alcuni di loro temevano di essere arrestati proprio a seguito delle dichiarazioni di Santa Buccafusca. E c’era già chi prefigurava che sarebbe tornato a fare il bagnino. Importante per il giudice è soprattutto la «conversazione del 15 marzo 2011, ore 12:57, in cui Francesco Marchese, Giuseppe Armando Bonavita e Marco Borrello commentano, pur non citandola, le motivazioni che potrebbero aver indotto la moglie di Scarpuni a collaborare con la giustizia (“Nel senso magari il figlio te lo cresci pulito. .. Quelli si sono montati la testa, hai capito? Magari se si ambienta il figlio ti… chissà che cosa, almeno te ne vai per i cazzi tuoi, te ne vai chissà dove, ti fanno una identità nuova… Ma questi promettono no?ed esprimono il timore di venire arrestati Questi anche a me arrestano! Io sono andato là pure! Dici di no?! Si che non mi fanno niente…Mi sembra a me che il bagnino un’altra volta devo fare... pure tu lo devi fare… E se arrestano a loro che fai? E’ un macello!..»nonché le telefonate di Giuseppe Garrì ad Antonio Accorinti e Salvatore Prostamo con l’invito a passare con urgenza da Nino Accorinti”.

 

Altro concitato tam tam di telefonate ed sms avviene a Briatico la mattina del 16 marzo 2011 quando gli esponenti del clan, alludendo alla decisione della Buccafusca di non intraprendere un percorso di collaborazione, si comunicano l’un l’altro che la “febbre è passata” (Ah, vedi che la febbre gli è passata”…; “Se ne ritornata dall’Ospedale…. “; “E vedi che hanno telefonato e dice che la febbre gli è passata… “; “Tutto a posto la febbre gli è passata…):

alle ore 11:14 è Nino Accorinti a dare la notizia al figlio Antonio, mentre alle ore 11:17 Armando Bonavita avverte Salvatore Muggeri; alle ore 11:21 Francesco Marchese scrive a Marco Borrello, quindi alle ore 11:26 Borrello avvisa Pino Bonavita e alle 12:08 Nino Accorinti chiama Salvatore Muggeri il quale riferisce di aver già ricevuto la notizia”. Alle ore 12:11 Salvatore Prostamo telefona inoltre a Giuseppe Comito – da poco collaboratore di giustizia – anche lui a conoscenza della novità“.

 

La morte di Tita Buccafusca. Circa un mese dopo i fatti, in data 16 aprile 2011, Pantaleone Mancuso si reca alla Stazione Carabinieri di Nicotera Marina per denunciare che la propria moglie Santa Buccafusca “aveva ingerito dell’acido solforico e, per tale motivo, era stata inizialmente ricoverata all’ospedale di Polistena e poi, stante la gravità, presso all’ospedale di Reggio Calabria dove morirà due giorni dopo, il 18 aprile 2011.

Anche in questo caso – rimarca il giudice – vengono intercettate una serie di conversazioni dalle quali si ha conferma dello stretto legame del clan Accorinti con Pantaleone Mancuso, al quale viene manifestata in più occasioni – la visita in ospedale, il saluto presso l’abitazione, la partecipazione al funerale, le attenzioni per il figlio – vicinanza personale e al tempo stesso deferenza criminale”.

 

A comunicare ad Antonio Accorinti il decesso di Santa Buccafusca sarebbe stato Nunzio Manuel Callà, ritenuto vicinissimo a Pantaleone Mancuso. Antonio Accorinti avrebbe quindi subito avvertito il padre Antonino. A conferma del fatto – scrive il giudice – che Antonio Accorinti si sia poi effettivamente recato con il proprio nucleo familiare a Reggio Calabria proprio per porgere l’ultimo saluto alla salma della Buccafusca”, viene intercettata una conversazione di Antonio Accorinti con il cappellano dell’ospedale di Reggio Calabria a cui proprio Accorinti riferisce il motivo della propria presenza in quel nosocomio ovvero il decesso della moglie di Pantaleone Mancuso“.

Dall’inchiesta “Costa Pulita” è inoltre emerso che gli esponenti del clan di Briatico, ed in particolare Antonio Accorinti, figlio di Nino Accorinti, “collaborano” con Manuel Callà nella distribuzione di caffè della ditta individuale “Buccafusca Santa”, fittiziamente intestata alla defunta moglie di Pantaleone Mancuso ma in realtà condotta da quest’ultimo con la diretta collaborazione proprio di Callà”.

Le conclusioni del giudice. “Ebbene, non v’è dubbio – si legge in sentenza – che la condivisione di una medesima preoccupazione e di un medesimo sollievo costituisca significativa dimostrazione di affectio societatis fra tutti i soggetti citati e dell’ulteriore conferma della cointeressenza di Pantaleone Mancuso in molteplici attività della cosca di Briatico, sì da poter temere le conseguenze della paventata collaborazione della moglie di “Scarpuni”. D’altronde, la stessa infelice metafora – la febbre è passata – scelta per esprimerelo scampato pericolo tradisce l’adesione degli imputati ad un modello culturale in cui la collaborazione con la giustizia è uno stato di malessere rispetto ad una condizione, quella dell’agire mafioso, vissuta come normale”.

 

Le condoglianze. Due corone funebri per omaggiare la salma di Santa Buccafusca vengono inoltre mandate da Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi – imputato in Costa Pulita con rito ordinario e già condannato in via definitiva all’ergastolo – attraverso il nipote Pasquale Prossomariti, inviato da Pantaleone Mancuso per porgere le condoglianze.

 

Per la cronaca: Antonino Accorinti è stato condannato nel processo Costa Pulita a 14 anni di reclusione quale vertice assoluto dell’omonimo clan di Briatico; il figlio Antonio a 12 anni di carcere; Salvatore Prostamo a 12 anni; Salvatore Muggeri a 7 anni; Francesco Marchese a 6 anni e 8 mesi; Pasquale Prossomariti a 7 anni e 4 mesi. Pino Bonavita, il figlio Armando Bonavita, Marco Borrello e Giuseppe Garrì sono invece attualmente imputati con rito ordinario dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia.  

Giornalista
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