Una lectio di linguaggio in codice della malavita cosentina. E’ quella che viene fuori dall’ascolto delle intercettazioni di due vecchi esponenti del crimine locale come Francesco Amodio e Vincenzo Dedato, diventati poi entrambi collaboratori di giustizia. 

«Stavamo percorrendo in auto la strada del “Timer” perché lì c’è un’officina dove…». Amodio parla con un pm dell’Antimafia e ripercorre le fasi che hanno portato all’omicidio di Vittorio Marchio (1999). Le fasi preparatorie si completano a Sant’Agostino. Per il pentito si tratta (anche) di una fase di “formazione” criminale: «Durante il percorso – dice nell’interrogatorio del 24 marzo 2003 – Dedato (l’altro collaboratore Vincenzo, ndr) mi parla di come bisogna comportarsi nel mondo criminale usando aggettivi tipo “vurpignu” (…) In pratica mi spiegava le attenzioni che ci vogliono per non incorrere in rischi di attentati: poi mi disse che se vengono… diciamo in gergo mi diceva che se vengono sotto “piezzu”, diciamo, significa pronti per l’attentato, già con le pistole pronte, “non c’è niente” e in pratica… “è difficile che ti salvi”».

Parole brutali per raccontare una vita esposta al pericolo della vendetta delle cosche correnti. Perché se arrivano i “titolari” non c’è scampo. Sei morto. Ci sono anche metafore calcistiche nella descrizione degli omicidi di mafia. I killer non sono tutti uguali: ci sono, appunto, i “titolari” e le “riserve”, «alludendo – specifica Amodio – che i titolari sono le persone più preparate che agiscono solo per uccidere, le riserve sono invece persone che non compiono nello specifico missioni di morte diciamo… come qualche tentato omicidio e cose del genere; sempre parlando in gergo dico al Dedato che “i titolari hanno vinto il campionato” alludendo a tutti i morti che ci sono stati, riferendomi al clan Bruni e agli altri diciamo che c’erano… che ci sono stati. Poi parliamo in gergo di allenatori, preparatori, magazzinieri; quindi in pratica avevamo paragonato la malavita a una squadra ».

Il magistrato incalza: chiede i nomi dei “calciatori”. Amodio: «I titolari erano Gatto, Presta, Marincolo, diciamo questi erano… come ho già detto in altri interrogatori erano gli azionisti del gruppo, io li conoscevo come azionisti del gruppo». E di riserve praticamente non ce n’erano, «perché all’epoca sono stati fatti tutti attentati di un certo…». Insomma «andavano in campo solo i titolari(…). Gli dico se abbiamo anche la Primavera e lui risponde “perché non lo sai?”… Dedato mi dice che in questi giorni bisogna fare un’altra partita».

Era un’altra azione, ma bisognava, come in tutte le squadre che si rispettino, tenere conto dei cambi di formazione, «perché c’è chi si infortuna», tirandosi indietro dalla missione di morte. Nel caso degli omicidi di Vittorio Marchio, Marcello Calvano e Sergio Perri, la “squadra” mise a segno dei colpi precisi. C’era bisogno di mettere a posto quella che stava diventando una pericolosa cosca concorrente. Volevano entrare di prepotenza negli appalti pubblici più sostanziosi in ballo all’epoca.

Lo riassume bene Mario Spagnuolo nel corso di un interrogatorio a Vincenzo Dedato: «Voi consolidate questa convinzione che Calvano, con Perri e anche con Marchio, vi stavano creando dei problemi ». Prendevano soldi e cercavano di inserirsi sul territorio. Un fatto inconcepibile. Andavano eliminati. Per loro niente riserve. I titolari non ebbero pietà.