Omicidio netturbini a Lamezia, la fondazione Trame: «Faremo riaprire il caso»

La figlia di Francesco Tramonte, Stefania alla cerimonia commemorativa: «Non sono sfortunata, gli sfortunati sono coloro i cui genitori vogliono diventino chissà cosa e magari per raggiungere il loro scopo vanno a chiedere i voti ai mafiosi» 

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di Tiziana Bagnato
24 maggio 2021
21:00

«Non sono sfortunata perché ho avuto un papà che mi ha fatto capire ad amare le piccole cose e che ci ha amato per come eravamo. Gli sfortunati sono coloro i cui genitori vogliono diventino chissà cosa, e magari per raggiungere il loro scopo vanno a chiedere i voti ai mafiosi». Parole dette con voce tremante, ma taglienti come una sassaiola.

Trent'anni di promesse

Stefania Tramonte, figlia di Francesco, ucciso a colpi di kalashnikov senza alcuna colpa all’alba del 24 maggio del 1991, di silenzi ne ha abbastanza. Da trenta anni mangia pane, promesse e solidarietà, così come tutti i familiari delle vittime. In occasione dell’evento di memoria organizzato dalla Fondazione Trame, insieme all’Associazione Antiracket Lamezia Onlus (Ala) e Agesci del Reventino, è intervenuta a ricordare quel papà strappatole troppo presto dall’arroganza mafiosa.


In quell’alba di sangue la pioggia di fuoco rimasta ad oggi senza mandanti ed esecutori, si prese la vita anche di Pasquale Cristiano. Un terzo operaio, Eugenio Bonaddio, si salvò per miracolo. Erano tre addetti della nettezza urbana, negli anni cui la criminalità organizzata era molto pervasiva, l’inchiostro nero dei quotidiani cartacei raccontava con costanza gli scontri tra cosche e i profili di chi era ci aveva rimesso la vita. 

L'omicidio dei netturbini

Ma Francesco e Pasquale a questi ambienti erano completamente estranei, la loro uccisione, così barbara e violenta, fu una sorta di avvertimento per l’imminente appalto sulla spazzatura. Di lì a poco sarebbe stato sciolto il consiglio comunale e sarebbero venute fuori trame di potere e di ‘ndrangheta che hanno pervaso per anni il cielo di Lamezia.

Tra testimonianze ritirate, personaggi chiave morti e anomalie, nessuno ha mai pagato per il giovane sangue dei due lavoratori. Tra gli impegni che avrà da quest’anno la Fondazione Trame, ha annunciato il nuovo direttore artistico Giovanni Tizian, ci sarà quello di tenere alta l’attenzione, di fare da pungolo sulla magistratura, puntando a fare riaprire il caso: «Una delle cose che fa più male è condividere gli stessi luoghi con quelli che potrebbero essere gli assassini dei tuoi cari. La giustizia non è vendetta e potere rivedere quei luoghi in pace. Siamo al vostro fianco e vogliamo che sia fatta giustizia, faremo di tutto provando a fare riaprire il caso».

Ma l’impegno di Trame va anche oltre, con l’istituzionalizzazione, ha spiegato Maria Teresa Morano dell’Ala, della giornata del 24 maggio come data per ricordare le vittime di ‘ndrangheta lametine, che non sono poche e le cui storie le nuove generazioni non conoscono.

Ad aprire la serata un monologo di Fabio Truzzolillo, interpretato dall’attore Achille Iera, che ha avvicinato la quotidianità smarrita dei due lavoratori a chi non li ha mai conosciuti. A moderare la serata Laura Fazzari. A dare il loro contributo, tra gli altri, don Pino Angotti e don Vittorio Dattilo.

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Giornalista
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