25 novembre

Stalettì, la storia di Loredana: prima il cuore spezzato poi le coltellate mortali. «Ha massacrato mia sorella e non ha preso l’ergastolo»

VIDEO | L'ex compagno condannato dalla Corte d'Assise a 25 anni di carcere, la Procura aveva chiesto il carcere a vita: «Per chi sopravvive a queste tragedie la condanna non finisce mai»

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di Luana  Costa
25 novembre 2023
06:15

Parla di lei come se fosse ancora presente, come se il legame con la sorella non si fosse mai interrotto. Il 23 novembre di tre anni fa, un’altra donna inghiottita dalla tracotanza di un uomo. «Come la ricordo? Com’è» spiega Giulia Scalone. «Una donna solare, una donna simpatica con la battuta sempre pronta, radiosa. E una sognatrice, una romantica, aveva pensato di aver trovato l’amore della sua vita, invece, ha trovato solo la morte».

L'amore tradito

Loredana Scalone nell’amore ci aveva creduto. Soprattutto, aveva creduto nell’amore di un uomo che, dopo un matrimonio naufragato, rappresentava la promessa di una vita nuova. Sedici anni più giovane Sergio Giana più volte l’aveva illusa, sposato, le aveva anche mostrato un certificato di separazione, falso, avviando una convivenza interrotta un mese prima dell’efferato delitto.


La speranza di una vita nuova

«Si è lasciato con la moglie, andiamo a convivere» aveva confessato nella chat familiare. Era l’estate del 2020. Dopo l’ennesima separazione Loredana aveva anche cambiato numero di telefono, cambiato i profili social, troncato la relazione pur mantenendo inalterate le sue abitudini di vita.

L'incontro fatale

Il 23 novembre del 2020, l’ex compagno le chiede un incontro e l’attende dopo il lavoro. Saranno poi le persone dove prestava servizio come collaboratrice domestica a testimoniare l’allontanamento della donna in compagnia di Sergio Giana. Per due giorni non si hanno più notizie.

Il ritrovamento del corpo

Il corpo straziato da ventotto coltellate viene ritrovato il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, in una intercapedine della scogliera di Pietragrande. «Magari nessuno lo ricorda perché non ha avuto una grande risonanza mediatica, la morte di Maradona e le notizie legate alla pandemia non hanno portato il suo caso all’attenzione delle televisioni nazionali» rammenda Giulia.

Il sangue della mattanza

Sfigurata dai fendenti sferrati al collo, al capo, al torace e al dorso. Sergio Giana all’appuntamento si era presentato con un coltello da cucina. «Ripetutamente sbattuta contro gli spuntoni di una roccia, strangolata e infine buttata giù dalla scogliera. Per occultare il cadavere l’ex compagno l’ha ricoperta di calce, ritornando anche più volte per cancellare con la candeggina il sangue della mattanza».

Le piaceva scherzare

Giulia si alza dalla sedia e prende una foto della sorella, quella in cui è ritratta con un tattoo a forma di cuore rosso e nero, la spalla scoperta. «Se l’era fatto il giorno del battesimo del nipote. Le piaceva scherzare, era sempre sorridente, amava la vita». Di Sergio Giana si era fidata più volte, di nuovo la sera del 23 novembre. Per l’ennesima volta una fiducia mal riposta.

Pene esemplari

«Viviamo in una società che, per quanto una donna possa dirsi emancipata, è ancora fortemente maschilista perché l’uomo ha sempre la necessità di avere il controllo sulla donna. Un rifiuto non viene accettato e incattivisce. Penso che i femminicidi continuino perché non c’è la certezza della pena, la severità della pena. Non ci sono pene esemplari. Se si pensa che per un omicidio così efferato il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo ma la Corte d’Assise ha inflitto una condanna a soli 25 anni».

L'ergastolo

Il 25 novembre nella famiglia Scalone si celebra una sola ricorrenza. «Per chi sopravvive a queste tragedie è come una condanna all’ergastolo del dolore perché non ne esci mai. Continui a vivere con questi ricordi e con questi pensieri domandandoti se avessi potuto fare qualcosa. Ci si sente davvero impotenti. Alle ragazze e alle donne dico che quando manca il rispetto, quando vengono spintonate, quando vengono offese anche verbalmente devono necessariamente parlare perché il silenzio rende più forte il carnefice e indebolisce sempre di più la vittima».

Giornalista
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