Palmi, il vecchio ospedale in ginocchio e del nuovo neppure la prima pietra: video

Un altro viaggio nella sanità dolente. Ecco ciò che resta del glorioso Pentimalli: l’eccellenza della camera iperbarica tra gli ambulatori ed un desolante quadro di dismissioni e abbandono. Il sindaco Ranuccio: «I nostri cittadini hanno il diritto di curarsi qui» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pietro Comito
12 dicembre 2020
19:30

Sia chiaro, è vero: era uno spreco inutile tenere in piedi un ospedale multidisciplinare quasi per ogni paese. È altresì vero, però, che se tagli e chiudi tutto o quasi, perché dici di voler costruire un solo ospedale ma buono, prima quello nuovo lo fai e poi rottami tutti i vecchi. E allora, benvenuti a Palmi, paradigma di come, nella sanità, abbiano funzionato le cose in Calabria.

«È la dimostrazione evidente – spiega il sindaco Giuseppe Ranuccio (foto) – degli errori che sono stati commessi in tutti questi anni nella gestione del comparto, dove un approccio ragionieristico ha soltanto penalizzato le nostre comunità». Mentre in Calabria, dagli anni ’70 in avanti, la sanità altro non è stata che una vacca da mungere, divorata dalla politica e dalle sue clientele, qui c’era una bella tradizione medica. Al Pentimalli - ricorda il primo cittadino - «si nasceva, ci si operava, ci si curava».

Mezzo secolo

Un presidio inaugurato nel 1969: 150 posti letto, vari reparti. Da Ostetricia e Ginecologia a Chirurgia, passando per Medicina. Poi arrivò anche la Rianimazione. Infine, mentre la politica calabra era all’apice dello spendi e spandi e contestualmente all’epilogo di un saccheggio durato un quarto di secolo, qui arrivò addirittura un’eccellenza: l’unica camera iperbarica della regione e, per lungo tempo, anche l’unica del Mezzogiorno d’Italia. Fu però proprio in quel momento che nella punta dello Stivale qualcuno iniziò a prendere coscienza che il debito era fuori controllo a causa del mercimonio che s’era fatto degli ospedali, pertanto, quando si varò il Piano di rientro dal deficit sanitario, una mannaia iniziò a mozzare di qua e di là, quasi indiscriminatamente, nel solco di una nuova politica lacrime e sangue.

Accadde, quindi, che il necessario processo di razionalizzazione delle risorse e dell’offerta di salute, finì col tradursi in un declassamento ed in una spoliazione della sanità territoriale, soverchiando, saturando e ingolfando i presidi chiave della regione: Reggio, Catanzaro, Cosenza.


Cosa è rimasto

E Palmi? Oggi è come un albero che perde le foglie in autunno: ha il suo tronco, linfa ed i suoi rami, ma è senza foglie e, quindi, è come se fosse senza identità.

«Uffici, sono rimasti solo uffici», dice un ex dipendente che qui è tornato da paziente. E la moglie al suo fianco, con una punta d’orgoglio: «Mio marito ha lavorato qui per quarant’anni… Questo poteva essere il migliore ospedale… Oggi invece se ci succede qualcosa non sappiamo dove andare». In realtà, il Pentimalli, non è affatto un ospedale fantasma, come Rosarno o Gerace: c’è un Punto di primo intervento, ci sono ambulatori di Cardiologia ed altre specialità e c’è il Centro iperbarico. «Io non lo so se funziona ancora, la camera iperbarica dico - mormora con amarezza l’ex dipendente - I medici sono andati in pensione e non li hanno sostituiti». Sì, anche questo è stato un problema, il turn over.

Facciamo un giro, per capire la situazione. La struttura è vecchia, ma all’interno è decorosa. Sono in corso lavori di tinteggiatura alle pareti. Non è un hotel a cinque stelle, ma c’è chi se ne prende cura. Vecchi corrimano sulle scale e telai e porte retrò sono i retaggi, peraltro ben conservati, di ciò che era un tempo quest’ospedale, quando al posto di scrivanie o ambulatori, c’erano corsie, posti letto e medicherie.

Gli spazi dismessi e il degrado

Le aree dismesse stanno nell’interrato. Diversamente da altri ospedali abbandonati della Calabria, tutti gli accessi sono fortunatamente serrati. Qualche vandalo ha infranto dei vetri e da qui scorciamo i segni del tempo: polvere, vecchi arredi. Niente rifiuti, né randagi. La farmacia, l’economato, il centralino, la vecchia manutenzione, la vecchia Immunoematologia, tutti chiusi. Solo una porta non è sigillata: è quella del luogo nel quale venivano conferiti i rifiuti speciali per essere poi smaltiti. Ci entriamo, è praticamente vuota: scatole e polvere. Si accede da qui ad un altro locale: è la tana di un gatto, tra materiali di risulta e attrezzi.

Il degrado c’è e sta tutto intorno: qualcuno ha abbandonato all’aperto dei vecchi sanitari, scarti di edilizia, rifiuti. Assieme alla ruggine degli impianti dismessi della centrale termica, compongono una foto desolante. Abbiamo visto di peggio, di molto peggio altrove, ma ciò non mitiga questa bruttezza.

L’eccellenza e i medici

Osserviamo i pilastri. Uno è scorticato. I tondini in ferro affiorano arrugginiti dal cemento sbriciolato. Continuiamo a camminare. In mezzo a tanta desolazione ecco l’eccellenza: il centro iperbarico. Camminiamo ancora, scorgiamo due donne medico che ci osservano dall’alto incuriosite. Chiediamo loro di indicarci le altre vie d’accesso. «Siamo qui per aiutarvi», gridiamo loro. «E noi siamo contenti che siete qui per aiutarci», ci rispondono. E ci scambiamo un bacio a distanza. Anche loro, i medici, come i pazienti, sono le vittime di questo sistema. Un medico vorrebbe una struttura idonea, nuova e sicura, pazienti da seguire nel modo migliore, corsie, reparti. Vorrebbero un ambiente motivante e invece li vedi là, a fare ambulatorio in un ospedale semivuoto che mostra tutto il peso dei suoi cinquant’anni.

Il nuovo ospedale

«La nostra battaglia – dice il sindaco di Palmi, Ranuccio – deve essere intelligente. Non possiamo e non dobbiamo chiedere la riapertura dei vecchi ospedali, ma nell’attesa che si faccia il nuovo ospedale di Palmi, perché il nuovo ospedale di Palmi si farà, è assolutamente necessario proteggere, potenziare e migliorare la medicina territoriale». Medicina territoriale che servirà, nei fatti, anche dopo.

E a proposito del nuovo ospedale di Palmi, che fine ha fatto? Atteso da tredici anni, destinato ad essere un faro per tutta la Piana di Gioia Tauro, il suo cantiere non esiste ancora. Prima i guai della Tecnis, poi il crack del colosso del cemento, quindi il nuovo appaltatore, infine il blocco per la rimozione di alcuni reperti archeologici. Forse con l’anno nuovo s’inizia. Ranuccio ci spera: «Sì - chiosa - dobbiamo superare tutto questo e guardare al futuro. I cittadini della Piana hanno il diritto di curarsi e di farlo qui».

 

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Giornalista
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