Il papà di Maria Antonietta a Mattarella: «Non ci abbandoni»

Dopo più di 4 mesi la donna versa ancora in gravi condizioni dopo che l’ex marito le diede fuoco. Nella missiva al Capo dello Stato, il genitore esprime tutta l’angoscia e il dolore per quanto accaduto e fa inedite rivelazioni

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di Redazione
26 luglio 2019
13:06
Carlo Rositani
Carlo Rositani

È la lettera di un padre provato ma fiducioso nelle Istituzioni quella inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella da Carlo Rositani, papà di Maria Antonietta. La donna, originaria di Reggio Calabria, è ricoverata a Bari dal 12 marzo scorso dopo che l’ex marito Ciro Russo ha tentato di ucciderla dandole fuoco. Le sue condizioni permangono gravi. Ecco il contenuto della sua lettera:

 


Ill.mo Senatore Sergio Mattarella
Presidente della Repubblica
Le scrivo perché sono un padre che è disperato, un padre che piange, un padre che vede la propria figlia da più di cento giorni disperarsi e piangere su un letto d'Ospedale.
Le scrivo perché non ho più favole da raccontare nella notte al piccolo William, che chiede della sua dolce Mamma e del suo piccolo amico Diuk.
Diuk era il suo cagnolino, il regalo di una amica della mamma al dolce William. Un cagnolino di appena un anno, morto bruciato nel tentativo di salvare la sua padroncina. William sa che è ancora ricoverato a Catanzaro in una Clinica veterinaria...
Signor presidente chi ha il coraggio di dire al piccolo William che il suo adorato Diuk non c'è più?

 

Le scrivo perché non ho più il coraggio di vedere mia figlia tutta fasciata distesa immobile su quel letto d'Ospedale, Le scrivo perché non vedo più mia figlia sorridere, scherzare, gioire più da quel giorno. Le scrivo, gentile signor Presidente, per dirle che quando le sono accanto non la posso toccare o abbracciare, posso solo vederla triste, con gli occhi spenti da quelle fiamme. Da quelle fiamme mortali di quel giorno… Posso solo ascoltare i suoi dolori, che come delle serpi notte e giorno con la lingua di fuoco le mordono la pelle. Le scrivo perché non so ancora quando potrà tornare a casa e non so ancora quanti interventi dovrà subire e soffrire. Le scrivo perché sono un italiano che ha sempre creduto nella giustizia, Le scrivo perché sono un uomo, un padre un figlio al quale i genitori hanno insegnato a rispettare il prossimo, la famiglia e le Istituzioni, inculcando al cuore solo parole d'amore.

«Credo nel Tricolore»

Mio Padre, che è stato un Ufficiale, un ferito più volte decorato, della Seconda guerra mondiale, raccontava a noi figli che non esiste cosa più bella della libertà e della pace in terra e in famiglia. E che la guerra è una brutta bestia!

Le scrivo perché son un padre amareggiato, un padre che crede nei valori della Bandiera del suo Tricolore e nel valore della Patria, che crede e rispetta chi con onore indossa una divisa. 

Le scrivo, gentile Signor Presidente, perché credo nella legge, perché sono un Italiano che ancora crede in quei valori proclamati nella Costituzione Italiana, Le scrivo perché non ho più lacrime da versare. Le scrivo perché voglio che chi ha sbagliato, nei confronti di mia figlia, abbia il coraggio, guardandola in faccia di chiederle con umiltà scusa e di provare con molta umiltà scendendo dall’alto palcoscenico d'autorità ad immaginare solo per un attimo le fiamme accese da quelle mani vigliacche che avvolgono il corpo della mia Bambina. Provate a immaginare che quel corpo a bruciare sia il corpo di vostra figlia o di una persona a voi cara. Provate a disegnare dentro il vostro cuore quel corpo bello di figlia e Mamma che da quel giorno dell'agguato giace ancora oggi inerme, su un letto d'ospedale a piangere, tra urla, paura e incubi, vestita solo da strisce bianche sterili. E poi e poi e poi e poi quanto ancora a soffrire.

 

«Credo nella Giustizia»

Le scrivo perché voglio con tutto me stesso credere in Lei e nella giustizia. Le scrivo perché mia figlia è rimasta novanta giorni in terapia intensiva con pericolo di morte e - quando da poco era stata sciolta la prognosi e si trovava nel reparto Terapia sub intensiva - nuovamente è tornata ad aggravarsi, trovandosi attualmente nel reparto di rianimazione. Le scrivo per dirle che mentre il suo ex marito si trovava agli arresti domiciliari non c'era un giorno che lei non mi ripetesse col cuore colmo di paura: “Papà ho paura che scappi... vedrai Papà, scappa e mi sfregerà...”. E io a dirle “tesoro di Papà stai tranquilla lui si trova a Ercolano, anche se dovesse evadere per arrivare a  Reggio Calabria ci sono 500 chilometri di distanza, le Forze dell'Ordine ci avviseranno, ti proteggeranno, io ti proteggerò”.

Non è stato così purtroppo. Invece a Reggio Calabria fu mia figlia ad avvisare loro, le Forze dell'Ordine dell'evasione di quell'uomo, non "Uomo", ma dopo l'agguato. Le scrivo anche per dirle che il Policlinico Grandi Ustionati di Bari e tutto il suo personale è per tutti noi italiani un vanto e un' Eccellenza della Sanità italiana. Loro, i suoi angeli, come li chiama mia figlia i medici e tutto il personale Paramedico. Loro le hanno con amore  salvato la vita. Devo ringraziare anche il personale medico e paramedico del Reparto di Rianimazione dello stesso Policlinico che, con lo stesso amore, per la seconda volta hanno salvato la vita della mia bambina.

 

«Non mi abbandoni»

Le scrivo per dirle, da padre a padre, che mi faccio forza ma non posso fare meno a pensare a cosa ne sarebbe di mia figlia se venissi a mancare io. Lei che è per me ancora oggi la mia bambina. Non mi abbandoni, Signor Presidente
Mi permetto di scriverLe, gentile Signor Presidente, perché ritengo con molta umiltà e rispetto verso le Istituzioni, che mia figlia non sia stata tutelata da chi invece aveva il dovere di farlo.

Lo faccio anche affinché altre donne e altri padri non debbano patire più sofferenze come quelle di mia figlia, una di quelle poche donne che ha trovato il coraggio di ribellarsi all'uomo che aveva amato e sposato. Per tanti anni ha sofferto in silenzio ogni angheria e cattiveria subita da suo marito, finché un giorno dopo l'ennesima violenza culminata con uno schiaffo alla figlia Annie, che si era avvicinata per proteggere la madre, decise finalmente, piena di fiducia nella giustizia, di sporgere denuncia.

 

La ricostruzione dei fatti

Era il 20 dicembre del 2017. In silenzio dopo aver sporto regolare denuncia al Comando dei Carabinieri del Viale Calata a Reggio Calabria, a poche centinaia di metri da casa sua, senza dire nulla a nessuno fa ritorno a casa ad attendere l'arrivo della legge. Ma, illustre Presidente, il tempo passava... sordo di tutto… senza che nessun uomo di legge bussasse ala sua porta. Finché il 5 gennaio del 2018, dopo un ulteriore pestaggio nella notte da parte del marito, mia figlia disperata decise di parlarne con il fratello Danilo, raccontando anche della denuncia fatta ai Carabinieri il 20 dicembre del 2017 rimasta senza un seguito.

Mio figlio Danilo trova il coraggio e mi racconta della denuncia e dei maltrattamenti del marito nei confronti di sua sorella, mia figlia. Io ero all'oscuro di tutto. Non mi feci prendere dalla rabbia e subito andai dai Carabinieri del Viale Calabria. Luogo dove mia figlia aveva denunciato il marito per avere delle spiegazioni. La domanda ancora era lì, non era stata proseguita alla Procura, ritengo perché sotto feste natalizie.

Inutile dirle gentile Presidente del mio sconforto, Il Maresciallo mi assicura che subito sarà proseguita la denuncia in Procura. All'uscita della Caserma Danilo riceve una telefonata dalla nipote, Annie figlia di mia figlia Maria Antonietta, piangendo le dice:«Zio corri, papà sta picchiando mamma, l'ammazza».

Inutile dirle Signor Presidente che trovandomi davanti la porta della Caserma, fiducioso entro chiedendo aiuto a loro, mi rispondono che non possono intervenire e che dovevo essere io a telefonare e chiedere l'intervento della Forza dell'ordine per telefono. Rimasi senza parole. Mi avvicino verso l'uscita per raggiungere mio figlio Danilo che mi aspettava sofferente, arrabbiato, piangendo in macchina. Lui ha con sé il telefono.

I maltrattamenti

Arriviamo a casa, ma mia figlia e mia nipote non c’erano. Erano stati portati all'Ospedale, accompagnati dall'ambulanza e da una volante della Polizia mentre il marito colto in flagranza dalla Polizia veniva condotto in Questura. Nel tardo pomeriggio mia figlia viene dimessa dall'Ospedale con 20 giorni di prognosi di guarigione e Annie, la figlia, 10 giorni.

Condotti tutti in Questura dalla Polizia, all'uscita dall'Ospedale, per essere interrogati finalmente nella notte tarda, un Giudice più volte chiamato grazie alla nobiltà d'animo del responsabile della Questura si decide e fare una Ordinanza di restrizione al marito di 300.metri dall'abitazione della moglie.

Così possiamo ritornare a casa senza paura che il marito potesse nella stessa notte avvicinare mia figlia. Dopo una settimana suo marito non rispetta l'ordinanza e viene arrestato.

Al processo viene condannato a tre anni e sei mesi più interdizioni per tre anni dai pubblici uffici. Dopo poco ottiene i domiciliari a Ercolano dai genitori. In Appello poi ottiene la riduzione di sei mesi e l'annullamento dell'interdizione dai pubblici uffici. Mi fermo qui gentile Presidente, inutile dirle che sono disperato.

Mentre le scrivo mia figlia è ancora sofferente su un letto d'Ospedale a Bari, a lottare fra la vita e la morte. Le scrivo  con la speranza che sia lei, illustre Presidente, a leggermi e da Padre a Padre, da Italiano a Italiano, a darmi delle risposte.

È un incubo quello che sto vivendo da giorni nell’affannosa ricerca di risposte a quella terribile domanda che si è prepotentemente impadronita della mia mente, trasformando impietosamente la vita della mia famiglia in un’ immane tragedia: “Si poteva evitare che la mia bambina, la mia principessina, venisse arsa viva, malgrado le sue richieste di aiuto ininterrottamente urlate già da qualche anno?”.

I dubbi

A questa domanda, che ha reso insonni le mie notti, hanno fatto seguito innumerevoli riflessioni e domande come: Considerato che Ciro Russo aveva già violato la misura cautelare dell’obbligo di distanza di 300 metri ed aveva palesato pubblicamente le sue ferme  intenzioni di ucciderla, quelle che, crudelmente, ha tentato di porre in essere, poteva usufruire del beneficio degli arresti domiciliari?

Ammesso che avesse, per qualche ragione a me sconosciuta, il diritto di godere di un importante beneficio come gli arresti domiciliari, nonostante l’evidente pericolosità dimostrata e l’assoluta non curanza delle leggi, non sarebbe stato opportuno prendere delle precauzioni, installando un braccialetto elettronico per garantire un adeguato livello di sorveglianza?

Posto che l’ordinanza, nel dettare i termini della detenzione agli arresti domiciliari, determinava anche, a chiare lettere, limiti di comunicazione del detenuto con i soli familiari, come è stato possibile che facesse libero uso di telefoni e social network (facebook)  e nonostante le immediate denunce di mia figlia non venisse preso alcun provvedimento, da parte delle autorità competenti, che avrebbe potuto scongiurare la disgrazia?

Qualcuno ha reso edotti i signori Russo, genitori del detenuto, che, incombendo su di loro l’obbligo di vigilanza, avrebbero, pur di non rimanere svegli, nelle ore notturne, mettere in sicurezza la porta di uscita, nascondendo al detenuto la chiave e non lasciare in bella vista le chiavi della vettura con la quale lo stesso ha potuto, indisturbato, percorre ben 450 Km fino a raggiungere mia figlia per consumare, con atrocità inaudita, il suo ennesimo delitto?

Come è possibile che, in un territorio fortemente contaminato dalla criminalità, come , purtroppo, risulta essere il meridione d’Italia, un evaso possa tranquillamente percorre così lunghe distanze, in ore notturne di traffico quasi inesistente, quando chiunque dovrebbe risultare sospetto, servendosi di comode autostrade, lungo le quali sono posizionati i più innovativi sistemi di controllo, su una vettura la cui targa, per ragioni di sicurezza, sarebbe dovuta già essere segnalata, senza che nessuno se ne accorga? 

Ammesso che i Signori Russo, senza svolgere un preliminare tentativo di rintracciare il figlio evaso, in base a quanto da loro stessi dichiarato, abbiano, riscontrata la fuga,  tempestivamente dato l’allarme comunicando alle 8:05 alle forze dell’ordine l’accaduto,  perché non è scattato immediatamente un protocollo che mettesse in sicurezza, per tempo, mia figlia?

Perché a mia figlia, da me avvisata alle 8:26 dell’evasione dell’ex marito, dopo una lunga catena di comunicazione, quando ha chiamato, alle 8:27, terrorizzata, le forze dell’ordine per chiedere aiuto le è  stato banalmente suggerito di girovagare in città senza fermarsi piuttosto che suggerirle lucide soluzioni ed attivare immediati protocolli di protezione e di messa in sicurezza, lasciando, così, che trascorresse altro tempo utile all’evaso per concretizzare il suo malefico disegno criminale? 

E oggi a distanza di mesi da quel giorno che ha rubato la vita a mia figlia e la vite di tante altre famiglie, chiedo allo Stato Italiano delle risposte su i tanti dubbi che da quel 12 marzo bruciano come fiamme nella mia mente!

Vorrei sentire la verità …E la verità è una sola…e la si può trovare .nella documentazione in mio possesso.. E la verità ... È tutta scritta sulla pelle e sul volto di mia figlia!.

 

 

 

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