Gotha, le contraddizioni di Nino Lo Giudice fra scarsa memoria e poca conoscenza

Dopo l’esame dei giorni scorsi, oggi raffica di domande al pentito su massoneria deviata, Spadaro Tracuzzi, bombe ed appoggi elettorali. L'affondo della difesa: «Dice falsità. Ecco perché» 

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di Consolato Minniti
14 giugno 2019
18:39
Un pentito
Un pentito

«Il collaboratore di giustizia dice il falso come si evince dalle sue risposte». È un affondo particolarmente duro quello che il collegio difensivo sferra nei confronti di Nino Lo Giudice nella prima giornata di contro esame, dopo il termine dell’esame da parte del procuratore Lombardo nel processo “Gotha”. Oggi il pentito era chiamato a rispondere alla sfilza di domande della difesa. Chiarissimo l’obiettivo: smontare la sua attendibilità, evidenziando tutte le contraddizioni in cui, a giudizio degli avvocati, è caduto il “nano”.

L’esame in teoria della massoneria

Il primo a porre domande è l’avvocato Rinciari che inizia con una serie di domande sul modus operandi della massoneria. «Che cos’è una loggia massonica?», chiede il legale al pentito. Questi prova a rispondere parlando delle differenze fra una loggia coperta e scoperta. Ma l’avvocato incalza: «Da quanti maestri deve essere composta una loggia massonica? Ci sono gradi nella massoneria? Ci sono cariche? Che cos’è un maestro venerabile? In che direzione siede? Che cariche ricoprivano le persone di cui lei ha parlato?». Un elenco di quesiti a cui Lo Giudice risponde in un unico modo: «Non lo so, non facevo parte della massoneria». È evidente l’obiettivo del legale: dimostrare come Lo Giudice nulla sappia di massoneria. Rinciari domanda al pentito se abbia mai avuto screzi con Cisterna o Mollace. Lo Giudice replica negativamente, giurando di non aver mai parlato con loro. In conclusione, il legale chiede l’escussione del boss Pasquale Condello, avendo riferito Lo Giudice, che, a passargli quelle informazioni, fu proprio il “Supremo”. Questi potrebbe ora trovarsi nella qualità di testimone al processo “Gotha”.


Le domande su Virgiglio, Aiello e le bombe in procura

Il secondo legale a porre domande a Lo Giudice è l’avvocato Giuseppe Nardo, difensore di Alberto Sarra. La prima parte concerne il rapporto con gli altri collaboratori di giustizia all’interno del carcere di Rebibbia. Nardo fa riferimento al secondo memoriale di Lo Giudice, quello dell’agosto 2013, nel quale il “nano” affermava che in quel contesto le storia si incrociassero e prendevano forma le tragedie per non essere smontate da nessuno. Sia l’avvocato che il presidente del Tribunale, Silvia Capone, si sono lungamente soffermati su questo aspetto. Se cioè si trattasse di “tragedie” in senso mafioso, quindi addebitare responsabilità a persone che nulla c’entravano con determinati fatti, o in altro senso. Lo Giudice ha confermato trattarsi di “tragedie” in senso mafioso, mutando però senso rispetto al memoriale, perché il riferimento è a quelle situazioni simili «che hanno fatto a più di uno di noi e che non potevano essere smontate». La domanda a Lo Giudice è diretta: «Con gli altri collaboratori inventavate cose false?». La risposta è altrettanto netta: «No assolutamente, io parlavo di tragedie esterne, quando noi facevamo parte della criminalità». Risposta che lascia perplesso il legale.

 

Le cose non vanno molto meglio quando si parla di Spadaro Tracuzzi, il capitano dei carabinieri condannato in via definitiva per i suoi rapporti con Luciano Lo Giudice. L’avvocato Nardo, infatti, richiama nuovamente il memoriale dell’agosto 2013, ricordando le parole del pentito che disse come, quando si conobbe con Virgiglio lui gli disse che voleva parlargli e decisero di rovinare del tutto Spadaro Tracuzzi, perché “la squadra antimafia voleva così”. La risposta è immediata: «No, assolutamente non è così». Si passa poi al lungo elenco di nomi inseriti nel secondo memoriale e ritenuti parte di un apparato massonico. Secondo Lo Giudice, fu Virgiglio a passargli parte di quei nomi con dei bigliettini. Qui l’avvocato Nardo fa una leggera digressione personale: «A pagina 9 ha inserito anche il mio nome. Glielo ha detto Virgiglio?». Lo Giudice stenta: «Non mi ricordo che abbia fatto anche il suo nome, può essere che io abbia fatto un errore». Ma l’avvocato affonda il colpo: «Virgiglio però ha detto di non aver mai dato quei nomi a Lo Giudice e, quando vengono letti quei nomi, lui dice di non conoscerli. Allora la domanda è: perché Virgiglio ha negato tutto?». Lo Giudice replica: «I nomi in parte me li ha dati lui, in parte li sapevo io».

 

C’è anche un breve passaggio di tipo elettorale: Lo Giudice ha dichiarato in passato che Condello gli disse di votare per Sarra, ma il collaboratore oggi fatica a ricordare precisamente, se non che probabilmente chiese alla sua famiglia di votare per Sarra, non potendo lui farlo direttamente. Ricorda poi di aver nominato erroneamente Michelangelo Tripodi come persona per la quale era stato richiesto sostegno, «ma si trattava di Bilardi».

 

La parte finale è dedicata alle bombe messe negli uffici giudiziari a partire da gennaio 2010. Nell’udienza del 10 maggio scorso, Lo Giudice ha affermato che, ad insegnare ad Antonio Cortese come vanno fatte le bombe, fu Giovanni Aiello “faccia di mostro” e che quelle del 2010 sono frutto proprio di questi insegnamenti. L’avvocato chiede a Lo Giudice in che periodo siano stati dati tali insegnamenti. Il pentito ricorda fra la fine del 2007 e l’inizio 2008. Il legale allora contesta al pentito che, in passato, egli aveva riferito che Cortese era in grado di confezionare ordigni perché cacciatore e perché andava a pesca di frodo. «Era bravo di suo, quindi?», domanda l’avvocato. E Lo Giudice ribatte: «Ho dichiarato così per non scoprire Giovanni Aiello e tutta quella storia. Lui non è che era tanto preparato. Lo è diventato quando ha incontrato Aiello. Non ho detto prima queste cose perché avevo paura». Nardo, però, controbatte: «Però sappiamo che lei metteva l bombe con Cortese già nel 2006…». Lo Giudice rilancia: «Ma io non ho detto che prima non mettevamo le bombe».

 

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