Stop al dibattimento, è tempo di requisitoria nel processo Reset, che ha visto impegnata la Dda di Catanzaro a dimostrare l’esistenza di una confederazione di ‘ndrangheta a Cosenza. Nella prima parte del suo intervento, il pubblico ministero Vito Valerio ha sottolineato la gravità dei crimini emersi durante l’istruttoria.

Non sono mancati i riferimenti ai testimoni e soprattutto ai periti che hanno trascritto le intercettazioni. Il magistrato antimafia ha fatto intendere che non hanno svolto un buon lavoro, sostenendo che il senso di alcune captazioni è stato cambiato ma risentendo l’audio il contenuto era quello riportato dalla polizia giudiziaria.

«Questo è stato un processo impegnativo, in cui abbiamo avvertito tutta la responsabilità e il peso del nostro lavoro. Siamo ora chiamati a tirare le somme», ha dichiarato Valerio, evidenziando come gli scontri tra le parti siano stati «fisiologici» e facciano parte di un percorso di crescita per la giustizia. Nel ringraziare i giudici e gli avvocati, il pm barese è poi entrato nel vivo della requisitoria.

Falsità e omertà tra i testimoni

Il pubblico ministero ha rimarcato la presenza di «dichiarazioni false» e una frequente tendenza ad usare il «non ricordo» durante il dibattimento. «Questa è una cosa che non va bene», ha commentato Valerio, riferendosi al fatto che molte delle testimonianze si sono ridotte a espressioni «innocue» o «per scherzo». L’accusa ha poi sottolineato come dietro a queste dichiarazioni si nasconda una «condizione di assoggettamento e omertà», che alimenta l’associazione di 'ndrangheta oggetto del capo 1 dell'imputazione.

Valerio ha fatto anche riferimento al «pericolo di incorrere nella parcellizzazione delle singole condotte», aggiungendo che l'inchiesta ha sviscerato una vasta gamma di fatti, tutti strettamente legati tra loro. Gli imputati, secondo il pubblico ministero, sono «disponibili a commettere reati per l’associazione» ma le intercettazioni hanno rivelato numerosi dettagli "incomprensibili", a causa di errori nelle perizie trascrittive. A tal proposito, il pm ha annunciato che insieme al collega Vito Valerio depositerà una corposa memoria relativa alle intercettazioni.

Il ruolo centrale della cosca

Per quanto riguarda l'associazione di 'ndrangheta, il pubblico ministero ha ribadito che è stata «pienamente dimostrata» la sua esistenza nei territori di riferimento, dove la forza intimidatrice dei clan si è manifestata in numerosi episodi, come la Fiera di San Giuseppe e i servizi di vigilanza e sicurezza. «L’associazione si è assestata nel corso degli anni», ha continuato Valerio, citando eventi significativi come l'omicidio di Luca Bruni, che però non ha avuto un impatto destabilizzante per l'organizzazione.

La figura di Francesco Patitucci

Il pm ha parlato poi della figura di Francesco Patitucci, citato dai collaboratori di giustizia come il vertice indiscusso della cosca. «Non c'è pentito che non si riferisca a lui come vertice. Sappiamo che Patitucci da 40 anni parla di ‘ndrangheta», ha affermato, valorizzando la centralità della sua posizione all'interno della confederazione. Patitucci, secondo l’accusa, ha rappresentato il punto di riferimento per la «fratellanza criminale» a Cosenza, e il suo ruolo è stato decisivo nella nascita e nell’espansione dell’alleanza tra diversi gruppi mafiosi.

Nell’illustrare queste condotte, ha ripercorso le parole del pentito Franco Bruzzese, il quale dichiarò che in carcere fu innalzato di grado, con la dote del “Padrino”, proprio da Patitucci, Mario Gatto e un detenuto reggino. Ha quindi affermato che la confederazione di ‘ndrangheta a Cosenza vigeva già dal 2012, anno dell’omicidio di Luca Bruni, evento traumatico che non ha scosso l’unità dell’associazione. Vito Valerio nel corso della requisitoria ha parlato anche di Michele Di Puppo, Mario “Renato” Piromallo e Adolfo D’Ambrosio. Tre esponenti di vertice della ‘ndrangheta cosentina, tutti giudicati in abbreviato e condannati in primo grado per associazione mafiosa.

L’ipocrisia di Roberto Porcaro

Valerio ha anche citato Roberto Porcaro, definito un «elemento di grande contaminazione» all'interno della cosca, vista la vicinanza dal 2018 in poi con Luigi Abbruzzese “Banana”. «Porcaro è la rappresentazione plastica dell'ipocrisia della 'ndrangheta», ha affermato il pubblico ministero, facendo riferimento alla sua duplicità e alla sua capacità di ingannare anche i suoi stessi sodali. Dopo essere stato arrestato e sottoposto a indagini per il delitto di Giuseppe Ruffolo, Porcaro ha cercato di scagionarsi, ma è stato comunque visto come un elemento pericoloso all'interno della "Testa di Serpente", un'operazione che ha messo in luce la sua strumentalità e la sua ascesa all’interno della gerarchia mafiosa.

Valerio ha concluso il suo intervento sui capi dell’associazione ricordando la caduta di Porcaro e la consapevolezza che, nonostante la sua apparente astuzia, la sua scalata al vertice sia stata contrastata da altri esponenti della cosca, come Piromallo, ripescando in tal senso le propalazioni del pentito Francesco Greco che parlò di un piano omicidiario contro “Te Piasse”. Valerio ha dichiarato che è stata la Dda a non voler assumere Porcaro come collaboratore di giustizia.

Il pm ha ribadito che, nonostante le difficoltà, il processo ha cercando di far luce su una rete criminale radicata e pericolosa, di cui il ruolo di ogni singolo imputato deve essere adeguatamente valutato.

Le altre posizioni

Per ogni posizione elencata – da Rosanna Garofalo a Massimo Ciancio – la pubblica accusa ha descritto dal suo punto di viste le condotte illecite. Nel caso di Rosanna Garofalo, ex moglie di Patitucci, ha fatto intendere di non credere alla versione offerta dai tanti testimoni che hanno negato di aver ricevuto prestiti usurai dalla donna. Inoltre, si è focalizzato su Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni, ritenuti dalla Dda membri della confederazione mafiosa cosentina. I due, secondo Vito Valerio, scagionando Patitucci dal duplice omicidio Lenti-Gigliotti, per il quale è stato condannato definitivamente all’ergastolo, hanno inteso difendere il vertice dell’associazione.

Infine, le altre posizioni, compresi i boss del passato – come Giovanni Abruzzese – considerati associati alla confederazione nata dall’unione del clan degli “zingari” di Cosenza con quello “Lanzino-Patitucci”. Domani toccherà al pm Corrado Cubellotti.

Da segnalare che il collegio giudicante ha rigettato la richiesta della Dda di acquisire le dichiarazioni spontanee dei boss, rese in abbreviato, ammettendo tuttavia solo una parte degli atti che il pm aveva richiesto di inserire nel fascicolo del processo.