Recovery, i sindaci del Sud a Borgia: «Non ci rassegniamo allo scippo dei fondi, combatteremo»

INTERVISTE | Primi cittadini provenienti dalla Campania, dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Basilicata e da tutti i comuni della Calabria: «La ripartizione va rivista. Rivendichiamo ciò che i nostri territori meritano» 

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di Luana  Costa
22 maggio 2021
19:00

È Borgia la prima tappa della rete dei sindaci per il Recovery Sud, il movimento che fino ad oggi ha raccolto l'adesione di oltre cinquecento primi cittadini del sud d'Italia uniti da unico fil rouge: chiedere la revisione dei criteri di riparto de recovery plan. «Noi siamo onorati di ospitare la prima tappa - spiega il sindaco del Comune di Borgia, Elisabet Sacco - e speriamo anche che sia l'ultima perché ciò vorrebbe dire aver già raggiunto il risultato». 

Voci dal sud

L'obiettivo è infatti spostare l'asticella dei fondi disponibili per sud Italia dal 40% ad almeno il 68%: «Noi continuiamo a fare un'azione di protesta - spiega il sindaco del Comune di Acquaviva delle Fonti, Davide Carlucci - stiamo promuovendo una petizione al Parlamento Europeo per chiedere che si rivedano i criteri di assegnazione delle risorse perché il 40% è assolutamente insufficiente». Una distribuzione iniqua che penalizza i territori meridionali e che forse per la prima volta è riuscita, al contempo, a chiamare i sindaci a raccolta, anche grazie al supporto offerto dal Movimento 24 agosto per l'equità sociale. «È un bel risultato vedere 500 sindaci tutti assieme per rivendicare ciò che meritano i nostri territori» ha aggiunto Mario Cicero, sindaco di Castelbuono che non fa mistero della contrarietà che anima anche le altre fasce tricolori oggi a Borgia per il raduno.


Le lobby

«C'è una scelta ben precisa da parte delle lobby italiane - precisa - ma anche dei sindacati e delle organizzazioni di categoria. Nessuno parla più del mezzogiorno, c'è una chiara volontà di abbandonarci sulla sanità, sui rifiuti, sull'acqua, sulla mobilità. Noi non possiamo accettare tutto questo, noi abbiamo fatto una scelta: vivere e investire nei nostri territori». Quaranta i sindaci che oggi hanno risposto all'appello al primo appuntamento e provenienti dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Puglia, dalla Basilicata e ovviamente da numerosi comuni calabresi. «Qui c'è una fame di sviluppo» non nasconde Davide Carlucci mostrando il libro bianco, dove sono riassunti gli interventi di cui il Mezzogiorno d'Italia avrebbe necessità per affrancarsi dal divario: «Io dico eliminare, non ridurre perchè sono 150 anni che ci parliamo addosso su questo divario nord/sud. Sarebbe anche l'ora che noi stessi e i nostri figli comincino a non sentirne parlare più».

Ostacoli 

Revisione dei criteri del riparto ma non solo. Resta anche la necessità di vigilare sulla reale possibilità di risultare percettori di questi finanziamenti: «È una sconfitta ma non ci rassegniamo - aggiunge ancora -. Abbiamo ottenuto 2.800 progettisti per il sud ma non sono sufficienti dal momento che noi ne chiedevamo almento 5mila, oltre ai 20mila che sono necessari per rimpunguare i nostri comuni che sono senza dipendenti. Questo è un grave handicap che ci potrebbe pregiudicare la possibilità di utilizzare i fondi del recovery plan». 

È questo infatti uno degli ostacoli contro cui rischia di infrangersi la mole di risorse destinate al sud: «Le difficoltà di spesa che ci sono state finora sono state determinate soprattutto dalla insufficienza della pubblica amministrazione, dalla carenza di personale. I comuni del nord sono molto più strutturati e competitivi in tal senso. Noi abbiamo chiesto di risolvere questi due problemi: dipendenti e burocrazia. Se riusciremo a ottenere dei cambiamenti significativi in questo, noi saremo nelle condizioni di spendere. I progetti ce li abbiamo, ci sono comuni che hanno necessità di realizzare interventi».

«Violati i trattati»

«Questa è la più grande innovazione politica nella storia del Mezzogiorno e, forse, anche dell’Italia» ha dichiarato il senatore lucano Saverio De Bonis. «Il sud è stato da sempre considerato la Cenerentola dell’economia nazionale. Abbiamo raggiunto un punto molto basso della nostra storia, cioè che i primi cittadini, sinora oltre 500 ma con l’aspettativa che arrivino almeno a mille, prendano in mano le sorti del loro territorio. Mi pare che sia una iniziativa lodevole, necessaria e improcrastinabile perché il Mezzogiorno è stato considerato un soggetto scomodo. Per cui questo ponte con l’Europa che la rete dei comuni può creare è in effetti la grande novità per rilanciare il nostro Paese».

Sui criteri di riparto ha chiarito inoltre: «È una violazione dei trattati. Il regolamento che nei suoi allegati ha disciplinato la suddivisione dei fondi – con Italia e Spagna che hanno ricevuto i fondi maggiori in tutta Europa – è una sorte di vincolo imperativo per l’Italia. Noi non dovevamo discutere sulle percentuali da attribuire al Mezzogiorno. Queste percentuali erano un semplice calcolo algoritmico. Questa operazione di violazione delle norme e dei trattati fa sì che l’efficacia di un trattato non possa esplicarsi in uno stato membro. Io spero che la rete dei sindaci faccia valere le proprie ragioni».

Giornalista
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