Una serata intensa e fuori dall’ordinario quella vissuta alla Scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria, dalle donne vittime di violenza ospiti della Casa Accoglienza Angela Morabito. L’iniziativa è stata promossa dalla Fondazione Scopelliti con la collaborazione del network LaC.

Una sera diversa, una serata di cura e ascolto, vissuta da chi conosce troppo bene la parola “violenza”, ma ha deciso di rimettersi in piedi. A Reggio Calabria, nella grande struttura della Scuola Allievi Carabinieri, è accaduto qualcosa di raro: una caserma che si fa rifugio, luogo di umanità prima ancora che di disciplina. Perché quando le porte dei Carabinieri si aprono – e non per dovere ma andando oltre, per accogliere – cambia tutto.
Donne e bambini della Casa Accoglienza “Angela Morabito”
hanno attraversato un cancello che di solito resta chiuso. Lo hanno fatto per entrare in un luogo che, per una volta, non aveva bisogno di difenderle, ma solo di accoglierle. Un gesto semplice, ma pieno di significato: riscattare la normalità, anche solo per qualche ora, in un luogo dove la legge si fa anche ascolto.
L’evento nasce da un’idea coltivata con discrezione e determinazione all’interno della stessa scuola: un percorso di formazione per gli allievi, pensato non solo per affrontare il tema della violenza di genere dal punto di vista normativo, ma per viverlo attraverso la voce delle vittime, con uno sguardo che si fa umano, non solo operativo.
La serata si inserisce dentro un cammino condiviso che ha già visto il network LaC impegnato nel promuovere, insieme alla Fondazione Scopelliti e alle realtà del territorio, una giornata di formazione e aggiornamento all’interno della Scuola Allievi Carabinieri. Un filo che non si spezza, ma anzi riprenderà con il nuovo corso, nella convinzione che costruire una rete solida con chi vive ogni giorno il territorio sia indispensabile. Servono porte aperte, presenza reale, contatto diretto: perché solo toccando con mano il disagio si può imparare davvero ad riconoscerlo.

«Nasce così, in modo estemporaneo e sicuramente inusuale per una caserma dei Carabinieri», spiega il Comandante della Scuola Allievi, Colonnello Vittorio Carrara, accogliendo le ospiti con un sorriso autentico. «Abbiamo iniziato con un incontro con le psicologhe e le rappresentanti dell’associazione Angela Morabito, che ha permesso ai nostri allievi di ascoltare, comprendere, aprirsi a una prospettiva diversa. Parliamo spesso di violenza di genere, del Codice Rosso, ma qui volevamo andare oltre: farlo dal punto di vista delle vittime». L’incontro ha lasciato un segno. Da lì, l’idea: trasformare quella che era una lezione in un momento vero, condiviso, tangibile. È nata così una serata che non è solo un evento, ma una dichiarazione di volontà: esserci, con discrezione e vicinanza.

La grande terrazza vicina alla mensa, illuminata per l’occasione, ha accolto le donne ospiti delle strutture d’accoglienza e i loro bambini. Volti segnati da storie dure, eppure attraversati da una luce nuova. Spensieratezza, sicurezza, libertà di respirare: sembrano parole scontate, e invece sono conquiste quando si è sopravvissute alla violenza. Tra i giochi dei piccoli, i sorrisi trattenuti delle madri e le strette di mano con gli allievi carabinieri, si è creato uno spazio raro: uno spazio in cui la normalità non è un lusso, ma un diritto riconsegnato. Un diritto che passa anche dal riconoscimento reciproco, dalla possibilità di stare insieme senza paura, senza ruoli precostituiti. Solo persone, semplicemente.

A rendere ancora più speciale l’atmosfera, la musica. Perché quando mancano le parole, può essere una canzone a parlare al posto nostro. Lo sa bene Demetrio Mannino, anima di Publidema, che ha portato anche in questa occasione – così come era già avvenuto a Palizzi – il linguaggio delle emozioni. «Non si può dire di no a eventi del genere. Vedere madri con i propri figli rinascere grazie a questi momenti riempie il cuore. Torniamo sempre più carichi di quando siamo arrivati». La voce che ha attraversato la notte è quella di Benedetta Marcianò, accompagnata alla chitarra da Fabio Moragas. Una selezione di brani scelta con cura: alcuni profondi, che raccontano le ferite; altri leggeri, che sanno strappare un sorriso. «Cerchiamo di festeggiare la donna, non solo di ricordarne il dolore. È già tutto troppo pesante. Il nostro compito è alleggerire, anche solo un po’», spiega Benedetta, lasciando che siano le note a completare il discorso.

In platea, tra le donne sedute fianco a fianco, c’è anche Siria Scarfò. Per lei, tornare a Reggio Calabria significa dare forma a un sogno. La sua storia l’ha già raccontata in un libro che ha toccato coscienze e spalancato silenzi. Ma oggi non è lì per parlare di sé: è lì per ascoltare, per guardare negli occhi altre donne come lei. «È un onore conoscere queste donne. Hanno fatto qualcosa di grande: hanno avuto il coraggio. Ma ora cercano giustizia. Non è giusto che debbano pagare sempre loro, che siano loro a vivere sotto scorta, che siano sempre chiamate “vittime”». Le sue parole sono semplici, dirette, taglienti. E lanciano un appello a chi ancora resta in silenzio. «Io li capisco. Spesso manca l’aiuto delle istituzioni. Sarebbe già tanto trovare un po’ di umanità in un comando. I fatti, ecco cosa serve. Perché anche quando il coraggio c’è, se non vedi cambiamento… arriva la paura».

A camminare in silenzio tra le donne, c’era anche Rosanna Scopelliti, presidente della Fondazione Antonino Scopelliti, che ha organizzato l’iniziativa insieme al Network LaC, da sempre impegnata nella tutela delle vittime di violenza. «È una serata diversa, come lo fu quella di Palizzi. Un momento di normalità e spensieratezza per donne che hanno conosciuto il male nella sua forma più brutale. Ma oggi sono qui, con i loro figli. E questo è molto importante: significa che c’è comunione, c’è fiducia». La Fondazione ha già costruito una rete fatta di relazioni autentiche e formazione, ma ora lo sguardo si allarga. «Vorremmo poter lavorare anche con le vittime sopravvissute indirettamente: penso agli orfani di femminicidio. Spesso dimenticati, spesso soli. Vorremmo iniziare con loro un percorso che sia di sostegno reale, psicologico, normativo. Perché la violenza va affrontata a 360 gradi: non solo nei tribunali, non solo nei centri antiviolenza, ma anche nella memoria e nel futuro dei bambini che restano».

Sul territorio, ogni giorno, questo lavoro già esiste. Lo porta avanti con dedizione la Casa Accoglienza “Angela Morabito – Piccola Opera”, punto di riferimento a Reggio Calabria. Lo racconta l’avvocatessa Francesca Stillitano. «Ci sono due strutture: la Casa Accoglienza, per le donne in difficoltà, e la Casa Rifugio, per le situazioni ad alto rischio, dove le donne vengono collocate direttamente dalle forze dell’ordine. Ieri sera, per esempio, abbiamo accolto una nuova ospite in emergenza». Il lavoro è continuo, articolato, profondo. E alla base c’è un principio che non si può ignorare: la formazione. «Essere accanto a una donna significa esserci non solo con l’intenzione, ma con la competenza. Tutto il personale – avvocate, psicologhe, operatrici – segue percorsi formativi costanti e supervisioni. Ogni caso porta con sé domande nuove, e dobbiamo essere pronte. Sempre».

Quando la musica si è spenta e le luci hanno cominciato ad abbassarsi, non è calato il silenzio, ma un senso di pienezza difficile da spiegare. La Scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria ha smesso per qualche ora di essere solo una struttura militare, diventando un luogo di incontro, fiducia e possibilità. La vera sicurezza, forse, comincia da qui. Dal riconoscere il dolore senza voltarsi dall’altra parte, dal creare uno spazio in cui una donna non deve più spiegare tutto cento volte, ma può semplicemente essere. Quando uno Stato riesce a farsi prossimo, anche solo per una sera, lascia un segno più profondo di qualunque intervento. Un seme piantato nel cemento. E stavolta, tra le mura di quella caserma, è stato piantato davvero.