Un anno tra le urla delle proteste, intimidazioni e il silenzio colpevole dei cittadini

Un 2018 caldo per Reggio Calabria. La città non ha ben compreso che omertà e indifferenza alimentano come benzina la criminalità organizzata

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di Angela  Panzera
1 gennaio 2019
09:30
Intimidazioni a Reggio Calabria
Intimidazioni a Reggio Calabria

È stato un 2018 per Reggio Calabria vissuto all’insegna delle proteste. Non c’è stato un settore che non abbia visto i lavoratori scendere in piazza per la riaffermazione dei propri diritti e soprattutto per avere ciò che non doveva essere preteso e urlato, ma che sarebbe dovuto normalmente arrivare.

Cosa resta del 2018

Basti pensare ai tanti sit-in organizzati dinnanzi la sede dell’Asp e della Prefettura reggina dai dipendenti delle cooperative che danni servono il comparto psichiatrico e che ancora oggi sono in balia della burocrazia regionale; la stessa che da un lato ritarda il mancato accreditamento delle strutture e che dall’altro si “culla” sulla loro necessità di continuare a mantenere il posto di lavoro. Un posto di lavoro fondamentale per l’intera comunità, considerato che sono tanti i malati psichiatrici dell’intera provincia reggina, come sono tante le famiglie che puntualmente pagano la retta all’azienda sanitaria. Eppure i soldi per la retribuzione degli operatori non vengono versati sui loro conti. Un gioco al massacro che non vede vincitori  ma solo “vinti”, ossia la città di Reggio.


Le proteste dei precari

Tantissime poi, le proteste dei precari, dei portuali di Gioia Tauro,  dei cassa integrati dell’ex società di gestione dell’aeroporto reggino, dei dipendenti della società incaricata della raccolta differenziata e pulizia urbana, e dei cittadini che da anni chiedono l’assegnazione di una casa popolare, diritto sancito dalla legge, e che non ricevono nessuna risposta dalle Istituzioni. Ogni mese è sempre la stessa storia. Come sono ogni volta uguali, le parole pronunciate dai dirigenti comunali, dai consiglieri, maggioranza o minoranza non fa differenza, dagli assessori, dal sindaco e dai consiglieri e assessori regionali: “provvederemo”, “faremo”, ma di fatto sono tutte pezze che non riescono a rattoppare un buco che ogni giorno si allarga sempre di più. I reggini la rivendicazione sindacale la conoscono bene e il 2018 ne ha dato prova. Non si può certo dire il contrario. Eppure c’è ancora un “settore” che non ha visto una reazione da parte del popolo ossia quello della ribellione contro l’escalation criminale registrata in città, soprattutto negli ultimi mesi. Un timido accenno lo si è avuto nei giorni successivi all’incendio doloso che ha distrutto, nella notte intercorsa tra il 14 e il 15 novembre,  la pizzeria per celiaci “Zero Glutine Life” di via del Torrione, in pieno centro.

Le intimidazioni

Il rogo ha completamente distrutto l’attività commerciale della famiglia Pontari-Lanza, noti imprenditori reggini. Ma le fiamme non hanno solo ridotto in cenere il locale, hanno spazzato via i risparmi e i sogni di una famiglia, ma anche della comunità. C’è voluta l’associazione “Libera-nomi e numeri contro le mafie” per organizzare il 21 novembre sul corso Garibaldi, simbolo storico della città, una manifestazione a sostegno dei titolari. C’erano davvero tante persone e tra queste anche esponenti delle Istituzioni e delle associazioni di categoria. Ma erano tanti anche i cittadini che passavano da lì e proseguivano per la loro strada. Il clima era già quello del Natale ed era più “importante” mettersi avanti con lo shopping al posto di andare ad abbracciare i titolari della pizzeria e manifestare la propria solidarietà, che poi è una solidarietà che sarebbe stata data a se stessi. Quello che è successo ai proprietari di “Zero glutine life” è accaduto infatti, a tanti altri imprenditori. In meno di due mesi sono quattro le intimidazioni mafiose, registrate in città: una bottiglietta di benzina lasciata dinnanzi ad negozio di abbigliamento nella centralissima via Aschenez e poi l’incendio di un bar in via Orange (altra via del centro), delle betoniere di un’azienda edile a Ravagnese e di una pizzeria a Spirito Santo, questi ultimi due quartieri periferici, ma a una manciata di chilometri dalle vie principali. Questi roghi dolosi non sono “solo” problemi per i titolari, ma lo sono per tutti i reggini.

La città vittima della 'ndrangheta

La ‘ndrangheta non seleziona le vittime perché la vittima è sempre e solo una: la città. Una città che ancora non ha ben compreso che sono l’omertà e l’indifferenza la benzina che dà fuoco alla criminalità organizzata. Erano le tre di notte quando è stato appiccato l’incendio alla pizzeria di Via Torrione. Le mani dei vigliacchi non hanno esitato a compiere il loro progetto criminale. È stato davvero un miracolo che non si siano registrate vittime. E se fossero morti dei ragazzi che transitavano da lì mentre stavano facendo rientro a casa? O un operatore ecologico impegnato nella pulizia della centralissima via? O qualsiasi altro cittadino? Ci deve “scappare” sempre un morto affinché si prenda finalmente coscienza della presenza e pericolosità della mafia? Decenni di faide, innumerevoli bombe, esplosioni, macchine bruciate, intimidazioni di tutti i generi non sono ancora bastati? La risposta a questa domanda dovrebbe essere scontata. Eppure ancora oggi i reggini fanno “spallucce” demandando  tutto alle forze dell’ordine e alla magistratura. Per vincere questa battaglia, in campo si deve scendere in due: il popolo ancora non si presenta al fronte. 

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