Il maxiprocesso alla ’ndrangheta

Rinascita Scott, il pentito Schiavone decise di fare scena muta in aula dopo le minacce ai familiari

I fatti risalgono al 3 febbraio scorso quando il collaboratore di giustizia di Nicotera non depose dinanzi ai giudici. Lo ha reso noto la pm di Catanzaro Annamaria Frustaci 

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di G. B.
17 settembre 2021
09:29

Continua a riservare colpi di scena il maxiprocesso Rinascita Scott in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Ci sarebbero infatti pesanti minacce ai familiari del collaboratore di giustizia Salvatore Schiavone, 45 anni, originario di Laureana di Borrello, ma residente a Nicotera Marina prima dell’avvio della collaborazione, dietro la decisione del teste di fare scena muta il 3 febbraio scorso dinanzi ai giudici. Chiamato infatti a deporre, dinanzi al Tribunale collegiale, Salvatore Schiavone si era infatti avvalso della facoltà di non rispondere. È stata il pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, a rendere noto in aula – nel corso del maxiprocesso – che il giorno successivo alla mancata deposizione di Salvatore Schiavone, lo stesso ha inviato un messaggio al suo difensore spiegando di non voler più deporre perché minacciato. Il legale ha quindi prontamente informato della circostanza la Dda di Catanzaro che, dopo aver interrogato Salvatore Schiavone, ha appreso dallo stesso delle minacce ai danni di alcuni parenti del collaboratore.

In particolare, le minacce – secondo quanto reso noto in aula dal pm sulla scorta delle dichiarazioni di Schiavone – sarebbero state portate avanti da Giovanni Rizzo, individuato nel 39enne di Nicotera imputato nel troncone con rito abbreviato di Rinascita Scott e nei cui confronti la Dda ha già chiesto nel febbraio scorso la condanna a 12 anni e 6 mesi di reclusione in quanto ritenuto elemento del clan Mancuso. Giovanni Rizzo è il fratello di Giuseppe Rizzo, 37 anni, di Nicotera, imputato invece con rito ordinario nel maxiprocesso Rinascita Scott dove Salvatore Schiavone è stato chiamato a deporre. Il collaboratore sarebbe stato quindi indotto a tacere, pena pesanti ripercussioni sui suoi familiari non sottoposti al programma di protezione.


Il pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, ha così chiesto al Tribunale collegiale di Vibo (presidente Brigida Cavasino, a latere i giudici Gilda Romano e Claudia Caputo) l’acquisizione dei verbali predibattimentali resi dal collaboratore di giustizia Salvatore Schiavone. Su tale richiesta, gli avvocati degli imputati hanno chiesto ai giudici un termine a difesa per esaminare i verbali e quindi decidere se prestare o meno il consenso alla loro acquisizione.

Nell’ambito dell’operazione Rinascita-Scott, la collaborazione di Schiavone era emersa dopo la conclusione delle indagini preliminari ad opera della Dda di Catanzaro. Chiusura che il 19 giugno 2020 aveva portato ad ulteriori arresti per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico dal Brasile e dall’Albania. Traffico legato principalmente alla figura del boss di Zungri Giuseppe Accorinti.

In tale contesto, il 3 ottobre del 2019 Schiavone aveva parlato agli inquirenti degli uomini del locale di ‘ndrangheta di Zungri in Toscana: ed in particolare dei fratelli Valerio e Giuseppe Navarra, originari di Pernocari, frazione del comune di Rombiolo, ed imputati nel maxiprocesso. Argomenti e tematiche che Schiavone non aveva inteso approfondire dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia nell’udienza del 3 febbraio scorso, scegliendo di non rispondere alle domande della pubblica accusa. Una scelta, quest’ultima, che si apprende ora essere dipesa dalle minacce rivolte dai clan ad alcuni familiari in libertà.

Giornalista
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