Rinascita Scott: malavita, droga e armi raccontati dal pentito Servello

Al maxiprocesso l’avvio dell’escussione del collaboratore di giustizia che l’1 giugno 2005 si autoaccusò (senza che ciò avesse seguito) della strage di Pizzinni costata la vita ai fratellini Pesce. Mancano i verbali firmati e l’esame viene aggiornato (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pietro Comito
22 febbraio 2021
18:04
L’aula bunker a Lamezia dove si tiene il processo
L’aula bunker a Lamezia dove si tiene il processo

Dopo il loquace Fiume, il puntuale Spatuzza e lo smemorato Albanese, continua la girandola dei collaboratori di giustizia al maxiprocesso Rinascita Scott. L’audizione di Angelo Servello, originario di Ionadi ma legato, nel corso della sua militanza alla criminalità organizzata, in particolare al clan Fiaré-Razionale di San Gregorio d’Ippona e al clan Accorinti di Zungri, viene anticipata da un acceso confronto tra il pm Andrea Buzzelli e l’avvocato Francesco Sabatino sulla norma che deve disciplinare l’esame del teste: imputato in procedimento connesso o testimone assistito? Armiere, narcotrafficante, reo confesso - sin dall’1 giugno del 2005 - di una strage che non è mai stata contestata, né a lui, né al presunto mandante, né al suo presunto complice nell’esecuzione materiale: l’eccidio di Pizzinni, che il 24 ottobre 1982 costò la vita ai fratellini Bartolo e Antonio Pesce, di 14 e 10 anni.

La deposizione

Serve un’ordinanza del collegio presieduto dal giudice Brigida Cavasino per dirimere la questione. Condannato in via definitiva, esattamente un mese prima che scattasse la maxioperazione Rinascita Scott, a scontare 7 anni e 8 mesi di carcere per narcotraffico, viene così sentito come testimone assistito. «Volevano fare del male a me e alla mia famiglia, per questo ho deciso di collaboratore – esordisce – In particolare avevo timore di Giuseppe Accorinti di Zungri e Leone Soriano di Filandari. Anche Saverio Razionale mi disse che volevano uccidermi». E ancora: «Razionale lo conosco dagli anni ’80. È uno di spessore criminale. A lui fu ammazzato un cognato, Giuseppe Gasparro, a me è stato ucciso un fratello, Domenico. Entrambi, per questo, volevamo uccidere Francesco Fortuna detto Pomodoro, che ritenevamo responsabile dei nostri lutti. Razionale era un criminale di San Gregorio d’Ippona, l’ho frequentato per una vita. Quell’omicidio poi non lo abbiamo fatto, perché Razionale mi disse “Sospendiamo, se ne parla più avanti”. Io iniziai a fargli da autista, lo accompagnavo a Limbadi, a Vibo, nel Lametino. Lui era legato alla famiglia Fiaré».


Il clan di San Gregorio

Secondo Servello, Saverio Razionale avrebbe avuto un «rapporto di amicizia buono» con Giuseppe Mancuso. Ma si sarebbe rapportato anche con «Diego e Francesco». «Una volta – racconta il collaboratore – la ditta Gentile si rivolgeva a me e mi dava soldi per prendere lavori a Ionadi. Io parlavo con il sindaco di allora che assegnava i lavori e così la ditta mi dava una percentuale sugli appalti che prendeva. Poi un giorno mi chiamò Rosario Fiaré e mi disse di non andare più dalla ditta Gentile perché interessava a Luigi Mancuso. Questo tra l’82 e l’84». Il collaboratore, sempre su Saverio Razionale, rivela altre circostanze molto datate: «Ha sempre commesso fatti illeciti, anche a Roma. Con me abbiamo portato anche droga, due chili di eroina, tra gli anni ’80 e ’90. Razionale si occupava di usura».

Lo stop

Il pm Buzzelli incalza, mentre le difese - avvocati Francesco Sabatino, Paride Scinica, Gianni Puteri, Giuseppe Bagnato, Mario Murone e Mario Marchese - lamentano come l’esame dell’accusa faccia riferimento a verbali non firmati ma solo su file word, peraltro aperti ed emendabili. Insomma, sarebbe possibile porre domande ma non procedere a contestazioni, non essendoci verbali firmati. Con ciò le difese chiedono l’interruzione dell’esame. Il collegio si ritira: l’esame di Servello viene aggiornato, in attesa di recuperare i verbali originali. Domani si torna in aula, la girandola dei pentiti continua.

Giornalista
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