Sul truck di LaC una nuova puntata con il procuratore. Un dialogo intenso e umano, che attraversa i temi della giustizia, delle fragilità sociali e del ruolo fondamentale della famiglia e dell’educazione nel contrasto alla devianza giovanile
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Sul truck di LaC la conversazione con il procuratore Roberto Di Palma si è trasformata in un viaggio profondo tra legalità, umanità e responsabilità. In un dialogo che ha superato i confini della cronaca giudiziaria, Di Palma ha affrontato con lucidità e sensibilità le fragilità del territorio, l’educazione dei giovani e il ruolo imprescindibile delle famiglie.
«Tutto può essere anche faticoso – ha spiegato Di Palma – perché significa rinunciare a degli spazi personali. Però, logicamente, c’è una domanda iniziale: nessuno ti ha chiesto di venire al mondo, l’hai fatto con una tua spontanea volontà, con consapevolezza, quindi è una tua scelta che comporta delle conseguenze, secondo me assolutamente positive».
Un ragionamento che porta dritto al cuore del problema: la responsabilità genitoriale come primo presidio di legalità. «Quando non si fanno queste rinunce – prosegue il procuratore – la coscienza ti parla: piuttosto che stare con tuo figlio, preferisci il padel, la palestra, lo yoga. Ma se non chiedi a tuo figlio cosa lo fa soffrire, con chi sta, dove va, chi sono i suoi amici, allora qualcosa si spezza. E spesso si cerca di compensare con i soldi o fingendo di essere amici. Ma l’amicizia non può sostituire l’autorevolezza».
L’aneddoto di un padre impotente davanti a un bambino di otto anni che lo insulta diventa, per Di Palma, il simbolo di una società che ha smarrito il senso dell’autorità e del rispetto. «Se non insegniamo ai nostri figli a rispettare i genitori – sottolinea – come potremo pretendere che rispettino insegnanti, medici, forze dell’ordine o magistrati?».
Nel suo sguardo c’è però anche speranza: la convinzione che l’educazione sia la prima vera forma di prevenzione, un’occasione per costruire opportunità e sottrarre i giovani alla seduzione della criminalità. «Tanti ragazzi – conclude – arrivano a compiere reati gravissimi, ma dietro c’è una fragilità enorme, spesso una famiglia assente. E allora il compito di tutti noi, come comunità, è ricominciare da lì: dal senso di responsabilità, dal tempo condiviso, dal dialogo che educa e salva».
Un’intervista che tocca corde profonde e ci restituisce l’immagine di un magistrato attento, lucido, ma soprattutto profondamente umano.

