«Scajola non voleva aiutare Matacena ma stare vicino a Chiara Rizzo»

Così l'avvocato Elisabetta Busuito durante l’arringa effettuata dinnanzi al tribunale reggino nel corso dell'udienza del processo Breakfast con quale ha tentato di smontare le accuse contestate all'ex ministro

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di Angela  Panzera
11 novembre 2019
19:00

«Scajola non voleva aiutare il latitante Matacena, ma stare vicino alla Rizzo che aveva a cuore e il cui rapporto da amicizia poi si è tramutato - come ha dichiarato lui stesso in aula durante l’esame - in sentimento». A parlare così è stata l’avvocato Elisabetta Busuito durante l’arringa effettuata dinnanzi al Tribunale reggino presieduto da Natina Pratticó.

L’ex ministro dell’Interno è accusato di aver fatto parte di una rete criminale volta alla latitanza dell’ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa, che dagli Emirati Arabi aveva individuato il Libano come “meta sicura” per farlo sfuggire alla giustizia italiana. Matacena è ancora latitante a Dubai. Per queste condotte il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha invocato, durante la scorsa udienza, la condanna a quattro anni e sei mesi per Scajola, a undici anni e sei mesi per Chiara Rizzo e a sette anni e sei mesi ciascuno per Maria Grazia Fiordelisi e Martino Politi, rispettivamente ex segretaria dei  coniugi Matacena-Rizzo e dipendente della famiglia.


Durante il proprio intervento il difensore ha escluso «qualsiasi interesse per Matacena volto a tutelare sia il suo status di latitante che le sue attività imprenditoriali». Inoltre, nella lunga arringa odierna l’avvocato Buisito ha “bacchettato” più volte il metodo di indagine applicato dagli uomini della Dia reggina. «Hanno offerto all’accusa una visione parziale, frammentata e non oggettiva dei fatti per come sono realmente accaduti. Al pm hanno portato i sunti delle intercettazioni e molto spesso le stesse erano totalmente decontestualizzate. Un metodo inaccettabile che ha portato poi Scajola a potersi difendere da queste menzogne anni dopo il suo arresto, qui in Tribunale».

 

Contestata dalla difesa dell’ex ministro anche la “totale assenza di riscontri” in merito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio il quale aveva dichiarato che «la cosca mafiosa dei Molè voleva arrivare ad Impregilo», per ottenere i sub appalti dei lavorato autostradali nel tratto compreso tra Gioia Tauro e Mileto”, e che il “ gancio” sarebbe stato Scajola grazie all’imprenditore Carmine Cedro e all’ex ambasciatore di San Marino Giacomo Maria Ugolini. Inoltre, il “pentito” ha dichiarato in udienza di aver visto Scajola partecipare ad una cerimonia massonica.

 

Accuse queste sempre rispedite indietro dall’imputato il quale ha dichiarato di «non conoscere il collaboratore, di non aver peso parte ad alcuna cerimonia e soprattutto di non essere mai stato massone». L’avvocato Buisito sul punto ha affermato «che gli stessi agenti della Dia hanno ammesso di non aver trovato riscontri rispetto al narrato di Virgilio il quale, per sua stessa ammissione, non si ricorda neanche quando ha reso queste dichiarazioni al pm, per poi però venire in aula e ricordarsi altre cose molto più datate nel tempo. Inoltre, ha concluso l’avvocato, la Dia non è riuscita a recuperare il verbale in cui Virgiglio ha parlato per la prima volta di Scajola. È un metodo di indagine assolutamente inaccettabile e che non ha portato comunque in dibattimento alcuna prova».

Il processo è stato aggiornato al lunedì prossimo quando proseguirà l’arringa dell’avvocato di Scajola. 

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