Depositate dal Tribunale di Vibo Valentia – giudice Claudia Caputo – le motivazioni della sentenza che mira a far luce sullo scandalo del c.d. “Cimitero degli orrori” di Tropea. Un sistema “ben rodato” secondo il giudice, con la prova della colpevolezza dei due imputati raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio, considerato che la violazione dei sepolcri nel cimitero di Tropea è da ritenersi “evidente e che tutte le esumazioni ricostruite sono state realizzate in violazione della normativa del regolamento di polizia mortuaria. Acclarata risulta pure la distruzione dei cadaveri, con un comportamento di Francesco Trecate da ritenersi incontrovertibilmente grave, in spregio al doveroso rispetto per i defunti e alle norme minime del decoro e del vivere civile. Per denaro si è reso responsabile di condotte che fuoriuscivano ampiamente dai suoi doveri, violando le tombe e sezionando i cadaveri”.

Questi i passaggi principali delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia che ha condannato a 5 anni di reclusione l’ex custode del cimitero di Tropea, Francesco Trecate, ed a 3 anni e 6 mesi il figlio Salvatore Trecate. Per il giudice sono provati almeno “dodici episodi di violazione di sepolcri ovvero quella di Del Vecchio Clotilde, dei coniugi Marzano e Addolorato, le due estumulazioni riprese in data 20 novembre 2020 e quella ripresa in data 16 dicembre 2020 i cui cadaveri non sono stati identificati, l’esumazione di tale Vittoria, domestica della famiglia Repice, la violazione della tomba di Garibaldino Maria e quella di Colace Giuseppe, e ancora la violazione del loculo al cui posto, nel marzo 2019, veniva tumulata Saturno Romania, l’esumazione di Baldo Vincenzo Giovanni e di un Giuseppe non meglio identificato, al cui posto veniva seppellita Scuncia Domenica”.

L’indagine si allarga 

E’ stato il luogotenente in forza al Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, Marcello Amico, il “motore” principale dell’inchiesta (insieme ai suoi uomini ed ai finanzieri della tenenza di Tropea). Un’indagine che lo stesso giudice in sentenza riconosce essere nata “a seguito di un’attività info-investigativa più ampia sulla quale il teste di polizia giudiziaria ha fatto valere l’esistenza del segreto istruttorio”. Questo significa che l’inchiesta sul cimitero di Tropea è soltanto il segmento di un’indagine ben più complessa che potrebbe riservare ulteriori e clamorosi sviluppi.

Le indagini hanno in ogni caso “restituito – rimarca il giudice in sentenza – un quadro desolante sulla gestione del cimitero di Tropea perché è emerso che Francesco Trecate, approfittando della sua qualifica e sul presupposto che vi fossero pochi loculi disponibili per le tumulazioni dei defunti, ha gestito in maniera abusiva e del tutto illecita - dietro pagamento di denaro e in violazione del regolamento di polizia mortuaria - le estumulazioni delle salme e le successive tumulazioni. In totale spregio della normativa, Francesco Trecate ha proceduto autonomamente all’estumulazione e alla successiva tumulazione delle salme, senza l’autorizzazione del Comune, senza la presenza di un medico legale e in taluni casi senza neppure una richiesta di autorizzazione presentata al Comune dai parenti dei defunti e in assoluta violazione delle norme previste anche in tema di conservazione della salma”. Per il giudice ci si trova dinanzi a “immagini agghiaccianti emerse dalle video-riprese, corroborate dai sopralluoghi della Finanza nel cimitero, dalla documentazione fotografica, nonché dalle dichiarazioni rese da numerose persone informate sui fatti”. Tutte situazioni che per il Tribunale delineano un “sistema rodato in cui Trecate Francesco, coadiuvato dal figlio Trecate Salvatore e da Contartese Roberto, procedeva all’estumulazione di salme e, dunque, alla violazione di sepolcri e in sei casi anche al sezionamento dei cadaveri che venivano distrutti e riposti nei sacchi della spazzatura”.

Gestione raccapricciante

Per il Tribunale l’inchiesta ha fatto emergere un “sistema rodato in cui Francesco Trecate, coadiuvato dal figlio Salvatore Trecate e da Roberto Contartese, procedeva all’estumulazione di salme e, dunque, alla violazione di sepolcri e in sei casi anche al sezionamento dei cadaveri che venivano distrutti e riposti nei sacchi della spazzatura”. I cadaveri venivano mozzati con un seghetto e le salme distrutte per ricavare i loculi dove seppellire altri defunti. Ma il giudice è chiaro su un punto e lo sottolinea in sentenza: Franco Trecate, coadiuvato dal figlio e da Contartese, si è spinto anche “ben oltre rispetto alla mera violazione dei sepolcri, arrivando ad estrarre le salme e, dopo averle denudate, ha proceduto a distruggere i cadaveri mediante l’utilizzo di arnesi di ogni genere”. I file video agli atti dell’inchiesta sono per il giudice “talmente chiari ed eloquenti da non lasciare margini di interpretazione. Il capo mozzato della donna, afferrato da Francesco Trecate dalla capigliatura – si legge in sentenza – è stato mostrato come se fosse un trofeo ad alcuni operai di una ditta che in quel frangente impegnati in lavori edilizi nel cimitero”. I resti della donna sezionati e spezzati sono stati riposti in un sacco nero della spazzatura e portati via con una carriola da Roberto Contartese, mentre i Trecate (padre e figlio) “procedevano a scaricare la seconda bara a ad effettuare il sezionamento del cadavere ivi contenuto”.

L’ex primo cittadino di Tropea 

Ma chi ha nominato Francesco Trecate custode del cimitero? Anche su questo la sentenza del Tribunale fornisce precise risposte. “Francesco Trecate risultava essere un dipendente comunale con la qualifica di operaio, ma con ordine di servizio n. 590 dell’11 dicembre 2018 – ricorda il giudice – lo stesso veniva nominato dal sindaco di Tropea caposquadra della manutenzione e custode cimiteriale”. E sindaco di Tropea dall’ottobre del 2018 era Giovanni Macrì, la cui amministrazione è stata poi sciolta per infiltrazioni mafiose nell’aprile dello scorso anno e nei mesi scorsi il Tar ha confermato il commissariamento respingendo il ricorso dell’ex primo cittadino. “Con la determina numero 8 del 20 gennaio 2020 si specifica che a Trecate Francesco – si legge ancora in sentenza – è stato affidato il compito della manutenzione del patrimonio immobiliare e il coordinamento squadra manutenzione custode cimiteriale”.

E’ emerso poi che tra il 5 e il 6 novembre 2020 è stata eseguita nel cimitero l’estumulazione di Clotilde Del Vecchio, bisnonna del sindaco di Tropea dell’epoca, Giovanni Macrì, e da un accertamento documentale eseguito dalla polizia giudiziaria presso il Comune di Tropea è emerso che il responsabile dell’ufficio tecnico, ingegnere Crisafio, con propria determina aveva autorizzato la sepoltura di Interdonato, zio del sindaco, nel loculo dove era in precedenza tumulata la Del Vecchio, ma non è stata rinvenuta la documentazione attestante l’autorizzazione prescritta dal regolamento di polizia mortuaria necessaria al fine di disporre l’estumulazione dei resti della medesima Del Vecchio. D’altro canto, nel corso dell’interrogatorio del 31 marzo 2021 – evidenzia il giudice in sentenza – Francesco Trecate ammetteva di essere stato contattato dal sindaco, Giovanni Macrì, e dallo zio di questi, Gerardo Macrì, ed entrambi gli prospettavano la necessità di individuare un loculo dove seppellire lo zio Interdonato. Lo stesso Gerardo Macrì che era il soggetto ripreso in data 5 novembre 2020 nelle immagini video davanti al cimitero il quale riferiva che era necessario esumare la nonna, la Del Vecchio appunto, per consentire la successiva tumulazione dello zio Interdonato al posto della donna le cui ossa sono state riposte nell’ossario della medesima cappella insieme al marito Macrì Francesco”.

Chi sapeva dell’indagine?

Ma il sindaco Giovanni Macrì sapeva dell’esistenza di un’inchiesta sul cimitero e su Franco Trecate? Il giudice riporta in sentenza le dichiarazioni rilasciate sul punto da Franco Trecate: “Il sindaco ha sempre saputo quello che facevo ed anche in occasione del decesso di suo zio, se non fosse intervenuto il parente, con cui è in pessimi rapporti, si sarebbe interessato lui stesso su come sistemare lo zio. In ogni caso io lo avevo messo al corrente della decisione del cugino di esumare la nonna, e a fronte di tale informazione annuiva”. Il Tribunale si sofferma in sentenza anche sulle dichiarazioni di “Antonia Godano, moglie di Francesco Trecate, la quale ha confermato come il sistema di procedere alle estumulazioni fosse una cosa rodata nel cimitero di Tropea e di cui il sindaco, Nino Macrì, era perfettamente a conoscenza. Lo stesso Macrì, a dire della Godano, aveva messo in guardia il Trecate sulle dicerie in ordine alle estumulazioni abusive che venivano perpetrate da Franco e Salvatore Trecate e da Roberto Contartese all’interno del cimitero e per tali ragioni lo invitava a stare più attento”.

Pochi giorni prima dell’arresto di Franco Trecate per i fatti del cimitero (febbraio 2021), la donna ha inoltre raccontato che “il marito era estremamente preoccupato poiché il sindaco Macrì – a detta della Godano – lo aveva avvisato che da lì a breve lo avrebbero arrestato”. Sia la donna che Francesco Trecate hanno anche riferito che due anni prima lo stesso sindaco di Tropea, Giovanni Macrì, li avrebbe avvertiti dell’esistenza di un’indagine della Dda sul cimitero di Tropea. “Peraltro, Trecate specificava nell’interrogatorio del 31 marzo 2021, che l’ordinanza con la quale il sindaco disponeva la chiusura settimanale del cimitero era stata adottata – si legge in sentenza – proprio su richiesta dello stesso Trecate che rappresentava al primo cittadino che non era opportuno che le esumazioni si effettuassero durante l’orario di apertura del cimitero al pubblico”.

Per il Tribunale, dunque, il processo ha fatto emergere un “contesto di assoluta noncuranza nel quale le condotte sono state perpetrate, così come è evidente il fatto che si trattasse di un sistema talmente rodato da essere certamente conosciuto ai più, anche all’interno del Comune di Tropea”. Ma tutto ciò per il giudice “non esclude comunque la responsabilità di Trecate Francesco e di Trecate Salvatore, autori materiali delle condotte macabre ricostruite e con un ruolo cardine nella preparazione e nell’esecuzione dei reati contestati, posti in essere con un unico disegno criminoso e che vanno unificati sotto il vincolo della continuazione”. I due condannati sono stati anche interdetti dai pubblici uffici, mentre la “condotta collaborativa prestata dagli stessi per tutto il corso del procedimento – ricorda il giudice – giustifica il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da considerarsi equivalenti alle contestate aggravanti”. L'affermazione della responsabilità penale comporta, infine, l’obbligo per i due Trecate di risarcire i danni patiti dalla parte civile costituita, il Comune di Tropea (rappresentato dall’avvocato Michele Accorinti), in qualità “di ente che rappresenta l’intera collettività e che certamente – conclude il giudice - ha subito dei danni, anche morali, dalla condotta tenuta dagli imputati”.

Il legale dei due Trecate – l’avvocato Giuseppe Di Renzo – ha in ogni caso stamane depositato il ricorso in appello avverso la sentenza del Tribunale di Vibo evidenziando l’inutilizzabilità delle video-riprese effettuate dalla Guardia di Finanza nel cimitero di Tropea, lamentando che le stesse sarebbero state disposte “in violazione di legge in quanto il decreto autorizzativo del pubblico ministero – sostiene la difesa – è omissato ed incompleto nello stesso fascicolo del pm”.