La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha chiuso le indagini preliminari sull’inchiesta per terrorismo internazionale che vede al centro Halmi Ben Mahmoud Mselmi, cittadino tunisino residente a Cosenza, e un secondo indagato, Skander Ben Fehri Bahroun. Il pubblico ministero Paolo Sirleo e il procuratore aggiunto Giulia Pantano hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini, notificato a entrambi gli indagati.

Mselmi è difeso dall’avvocato Giovanni Cadavero, mentre Bahroun è assistito dal difensore d’ufficio Pierpaolo Panza. L’inchiesta è coordinata dal procuratore capo Salvatore Curcio. La novità principale riguarda proprio l’ingresso nel procedimento di Bahroun, ritenuto dalla Procura parte attiva nella diffusione dell’ideologia jihadista insieme a Mselmi.

Le accuse

A Mselmi la Dda contesta l’adesione all’organizzazione terroristica Isis, con l’accusa di aver abbracciato un’ideologia finalizzata a destabilizzare gli ordinamenti statali attraverso azioni violente, anche di tipo individuale, sul territorio europeo. Le indagini, condotte dalla Digos di Catanzaro con il supporto di elementi investigativi nazionali e internazionali, hanno ricostruito un percorso di radicalizzazione maturato nel tempo, prevalentemente attraverso l’utilizzo della rete.

Secondo l’impostazione accusatoria, l’indagato avrebbe aderito pienamente ai principi del fondamentalismo jihadista, in particolare alla dottrina takfira, che legittima la violenza contro apostati e “infedeli” e considera il martirio come esito ideale dell’azione religiosa armata.

La radicalizzazione e il ruolo del web

Le investigazioni hanno documentato un’intensa attività online. Mselmi avrebbe utilizzato due account Facebook, denominati “Jàs Sém” e “Hel Mi”, per la condivisione di contenuti di propaganda jihadista, tra cui numerosi post del predicatore saudita Khaled Al Rashed, figura già segnalata dal Ministero dell’Interno come riferimento ideologico per i sostenitori dello Stato Islamico.

Ancora più rilevante, secondo gli inquirenti, è l’uso sistematico della piattaforma Telegram, considerata un vero e proprio archivio della propaganda dell’Isis. Nel materiale sequestrato figurano video e immagini che illustrano la costruzione di ordigni artigianali, manuali operativi per attacchi contro obiettivi militari e civili, filmati di esecuzioni e contenuti che celebrano attentati recenti, tra cui quello avvenuto al Crocus City Hall di Mosca.

Propaganda, martirio e violenza

Dalle carte emerge una raccolta digitale improntata alla glorificazione del martirio e della violenza come strumenti di affermazione ideologica. In diversi file multimediali scaricati dall’indagato si vedono miliziani giurare fedeltà ai vertici dello Stato Islamico e inneggiare alla morte come passaggio verso la “vita eterna”. In altri video compaiono frasi esplicite contro russi, ebrei e occidentali, accompagnate da slogan inneggianti all’Isis.

Gli investigatori hanno inoltre evidenziato la presenza di contenuti destinati all’indottrinamento, anche dei più giovani, con immagini ambientate in aule scolastiche e messaggi che esaltano l’uso di cinture esplosive e la violenza suicida come obiettivo di vita.

Le conversazioni e l’indottrinamento

A rafforzare il quadro accusatorio vi sono numerose chat intercettate tra Mselmi e altri soggetti, tra cui Houssem Ben Brahim e un individuo identificato come Mahmoud. In queste conversazioni l’indagato avrebbe sostenuto che «la cosa più facile è morire sulla strada di Allah», ribadendo la legittimità dell’uccisione degli apostati, definiti “murtadd”, e distinguendo tra chi può essere tollerato e chi, invece, deve essere eliminato.

Secondo la Dda, tali dialoghi dimostrerebbero non solo una convinzione ideologica ormai consolidata, ma anche una funzione attiva di proselitismo.

Il secondo indagato

Proprio su questo fronte si inserisce la posizione di Skander Ben Fehri Bahroun, ritenuto dagli inquirenti coinvolto nella diffusione dell’ideologia terroristica insieme a Mselmi. L’avviso di conclusione delle indagini nei suoi confronti amplia il perimetro investigativo, confermando, secondo la Procura, l’esistenza di un circuito di propaganda condiviso.

Il quadro complessivo

Per gli investigatori, il caso di Mselmi rientra nel modello del cosiddetto “lupo solitario”: soggetti non inseriti in cellule strutturate, ma pronti ad agire in nome dell’ideologia jihadista, dopo un percorso di radicalizzazione maturato online. Una modalità operativa che rende più complesso il contrasto al terrorismo e che, secondo la Dda di Catanzaro, dimostra come anche territori considerati periferici possano diventare luoghi di interesse per il jihadismo transnazionale.