Vibo, processo “Purgatorio”: due condanne e un'assoluzione

Il Tribunale collegiale ha accolto solo in parte le richieste della pubblica accusa infliggendo una pena ridotta a carico di Antonio Galati e di Emanuele Rodonò. Assolto l'ex capo della mobile Maurizio Lento
di G. B.
27 febbraio 2018
18:04

Arriva la sentenza del processo “Purgatorio” che vedeva sul banco degli imputati l’avvocato Antonio Galati e gli ex vertici della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò. Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Alberto Filardo presidente, a latere i giudici Graziamaria Monaco e Raffaella Sorrentino) ha parzialmente accolto le richieste della pubblica accusa - rappresentata dal pm della Dda, Annamaria Frustaci - ed ha condannato due dei tre imputati. 

 


Condannato a 4 anni e otto mesi l’avvocato del foro di Vibo, Antonio Galati, per il quale il pm aveva chiesto 7 anni ed 8 mesi di reclusione per il reato di associazione mafiosa. Il reato è stato riqualificato in concorso esterno in associazione mafiosa. Condanna a 1 anno per Emanuele Rodonò per il reato di rivelazione atti ufficio (pena sospesa e non menzione), ma cade l'aggravante mafiosa così come cade totalmente l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Assoluzione piena per Maurizio Lento nei cui confronti il pm aveva chiesto la condanna a 6 anni di carcere (rispondeva di concorso esterno in associazione mafiosa).

 

Alla luce della sentenza, dunque, si può affermare che i due ex dirigenti della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò, non hanno favorito in alcun modo il clan Mancuso nell'espletamento del loro lavoro alla Questura. La condanna di Rodonò si riferisce infatti ad una rivelazione all'avvocato Galati di alcuni arresti effettuati dai colleghi della Squadra Mobile di Bologna. Ma tale condotta non è stata finalizzata a favorire alcun gruppo criminale, e meno che mai di stampo mafioso, atteso che il Tribunale ha escluso l'aggravante delle finalità mafiose.

L’operazione “Purgatorio” era scattata nel febbraio del 2014 con gli arresti dei tre imputati, successivamente scarcerati, dopo quasi sei mesi di detenzione, per affievolimento delle esigenze cautelari. L’inchiesta è stata condotta dall’allora procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli (attuale procuratore aggiunto a Napoli) e dall’allora pm della Dda catanzarese, Simona Rossi. L’accusa in aula è stata poi rappresentata dal pm Camillo Falvo a cui è subentrata la collega Annamaria Frustaci. 

 

Un processo lungo e con al centro diversi episodi ricostruiti dagli inquirenti (carabinieri del Ros di Catanzaro principalmente, ma anche Squadra Mobile di Catanzaro) attraverso una serie di intercettazioni ambientali nell’auto dell’avvocato Antonio Galati e nel casolare di Limbadi del boss Pantaleone Mancuso (cl. ’47), deceduto in carcere nell’ottobre del 2015 e cliente dell’avvocato Galati. Episodi che non hanno retto al vaglio del Tribunale per dimostrare la penale responsabilità dei due ex dirigenti della Squadra Mobile. L'avvocato Antonio Galati viene condannato non per essere un mafioso e quindi associato al clan Mancuso, ma un concorrente esterno allo stesso.

 

Il processo arrivato questa sera a sentenza rappresenta solo una costola di una più ampia inchiesta già archiviata nel 2012 e nel 2013 dal gip di Salerno, Dolores Zarone, per inconsistenza totale delle accuse rivolte a due magistrati del distretto di Catanzaro. Un terzo è stato assolto in appello nelle scorse settimane. 

Alla base di buona parte dell’impalcatura accusatoria costruita dai pm Giuseppe Borrelli e Simona Rossi (firmatari della richiesta di arresto passata al vaglio del gipAbgail Mellace) vi era l’attività investigativa, confluita in una voluminosa informativa, dell’allora maggiore dei carabinieri del Ros di Catanzaro,Giovanni Sozzo (oggi colonnello al Ros di Roma). Altra parte delle indagini - che non hanno retto al vaglio del Tribunale - erano state invece condotte dalla Squadra Mobile di Catanzaro, diretta all’epoca da Rodolfo Ruperti, attualmente a capo della Squadra Mobile di Palermo. 

 

Per le parti civili si erano costituiti in giudizio la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero dell`Interno, il Comune di Limbadi e la Regione Calabria che avevano presentato delle note scritte. Fra 90 giorni il deposito delle motivazioni della sentenza di un processo che, come ricordato dal pm Annamaria Frustaci nel corso della requisitoria, lascerà un segno indelebile nella storia giudiziaria del circodario vibonese.

 

Maurizio Lento era difeso dall'avvocato Maurizio Nucci; Emanuele Rodonò dagli avvocati Armando Veneto e Rita Fenio; Antonio Galati dagli avvocati Sergio Rotundo e Guido Contestabile.

Giornalista
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