Un viaggio voluto e reso possibile grazie all’umanità concreta dell’Aics – l’Associazione Italiana Cultura e Sport –, alla famiglia Colosimo e alla solidarietà di un’intera comunità. Una breve parentesi di pace interrotta dal ritorno alle bombe, al dolore e all’assenza
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Villa San Giovanni ha aperto le sue braccia, il cuore e l’asilo di Cannitello a 18 bambini orfani di guerra provenienti dall’Ucraina. Un viaggio voluto e reso possibile grazie all’umanità concreta dell’AICS – l’Associazione Italiana Cultura e Sport – alla famiglia Colosimo e alla solidarietà di un’intera comunità. Sono stati giorni brevi, ma pieni: giochi, risate ritrovate, cibo condiviso, feste di compleanno, carezze. Eppure, anche nei momenti più belli, la guerra non era mai davvero lontana. Si vedeva negli occhi. Occhi che un’infanzia rubata ha reso grandi troppo presto.
Sono bambini, sì. Ma dietro ogni sguardo c’è la storia di chi ha perso un padre sotto le bombe, di chi spegne le candeline tra le lacrime perché manca la voce che dovrebbe fare gli auguri. Di chi, pur giocando a rincorrersi nel cortile, ogni tanto si ferma a guardare il cielo, come se temesse di sentire ancora una sirena.
E la sirena, purtroppo, è tornata a suonare. Appena poche ore dopo il loro ritorno in Ucraina, le bombe hanno spezzato di nuovo il silenzio. La parentesi di pace si è richiusa, lasciando una scia di nostalgia e dolore. Ma anche la consapevolezza che qualcosa è cambiato. Per loro, certo. Ma anche per noi.
Non si dimenticano facilmente quegli abbracci. Lunghi, stretti, silenziosi. Quasi a voler trattenere il tempo, a rimandare un addio che nessuno voleva pronunciare. E forse, in fondo, nessuno lo ha fatto davvero. Perché certi legami non si sciolgono con un pullman che parte o una frontiera che si attraversa. Restano, come le cicatrici. Invisibili, ma profonde.
Chi ha avuto il privilegio di conoscerli sa che non si può restare indifferenti. Lo sa bene papà Giovanni Colosimo, con i suoi figli, che ha sfidato la paura della guerra pur di regalare un sorriso a questi bambini. Ha dato tutto: tempo, energie, cuore. Come lui, tanti altri a Villa San Giovanni hanno fatto la loro parte. Un gesto semplice, ma potente.
Perché l’accoglienza non è beneficenza. È civiltà. È dire: "io ti vedo", "io mi prendo cura di te". È riconoscere che quei bambini non sono “lontani”, non sono “altri”. Sono parte di noi. Della nostra umanità, della nostra coscienza collettiva. Le loro cicatrici sono anche le nostre. Ora che sono tornati nel buio della guerra, non possiamo dimenticarli. Non possiamo chiudere quella parentesi e andare avanti come se nulla fosse. C’è ancora tanto da fare. Le scuole ucraine hanno bisogno di pc ricondizionati per garantire il diritto allo studio in condizioni estreme. Un gesto semplice, alla portata di tutti. Basta un computer che non usiamo più, una donazione, una condivisione. Anche solo un messaggio, un contatto al nostro giornale.
Io, personalmente, non dimenticherò mai questi giorni. Non dimenticherò le mani che non volevano staccarsi, le voci che dicevano "grazie" con un accento dolce e tremante. Quegli occhi tristi, ma pieni di una forza che solo i bambini conoscono.
Adottarli oggi, legalmente, non è possibile. Ma possiamo prenderci cura di loro comunque. Possiamo coltivare la cultura della solidarietà, possiamo insegnare ai nostri figli che essere umani vuol dire non girarsi dall’altra parte. Possiamo, dobbiamo, restare accanto a quei bambini. Perché sono solo bambini. E nessun bambino dovrebbe mai conoscere l’orrore della guerra. Ma se lo ha conosciuto, allora il nostro compito è restituirgli almeno un frammento di umanità. E se anche solo uno di quei sorrisi tornerà a brillare, sapremo di aver fatto la cosa giusta.
L’impegno di AICS in Ucraina
A Giovanni abbiamo chiesto come è riuscito ad affrontare tutto questo dolore: «Non è facile descrivere tutte le emozioni, progetti e iniziative che questa delegazione estera ha intrapreso in oltre tre anni». La delegazione in Ungheria è l'unica sede in Europa, nascono all'estero affinché diventino un punto di riferimento per i connazionali che risiedono nel Paese che ospita, ma dopo lo scoppio del conflitto bellico, AiCS non si è voltata dall'altra parte ma ha portato avanti un processo di aiuti sempre maggiore e differenziato per espressa volontà di Giovanni, inizialmente in favore del popolo ucraino in generale per poi concentrarsi sulla parte più debole della società, quali sono i bambini, supportando dipartimenti, club sportivi e centri di accoglienza.
«Grazie alla collaborazione della FIGC, che ci donava un enorme quantitativo di materiale tecnico già in uso alla Nazionale, facevamo nascere una squadra di calcio di bambini italiani residenti in Ungheria che affrontavano con grande impegno e attaccamento alla bandiera, degli incontri con coetanei di altre nazioni, tutti con i completi delle rispettive nazionali. Da due anni, dalla nascita del Dipartimento dello Sport, organizziamo in collaborazione con l'Ambasciata italiana in Ungheria, la giornata dello Sport italiano nel Mondo, istituita dal Ministero degli Esteri.
Attraverso la fornitura della Federazione calcio potevamo donare ai militari ucraini circa 1000 maglie termiche e calzettoni, sostenere la squadra del Pokrova AMP di Leopoli, formata da ex militari che hanno avuto amputata una gamba ma che con grande forza d'animo intraprendevano un campionato di calcio per invalidi, ai quali fornivamo dei completi di calcio ed a due club juniores di Uzhgorod e Leopoli, consegnando moltissimo materiale e palloni».
Molte le missioni umanitarie in territorio ucraino, per portare ogni genere di prodotto utile alla causa umanitaria con il supporto dell'Ambasciata italiana a Kiev. «Organizzavamo un corteo per la Pace nel giorno in cui ricorreva la data di inizio del conflitto, portando pure nell'Ambasciata ucraina in Ungheria un cero commemorativo acceso nella nostra Ambasciata. A Natale e Pasqua creavamo degli eventi per i bambini orfani di guerra regalando del materiale fattoci pervenire dal CONI, con uno speciale Babbo Natale del 15enne Cristian che più volte varcava il confine per portare solidarietà ai suoi coetanei, anche intonando in alcune scuole delle canzoni italiane, quale messaggio di solidarietà.
A Leopoli nel mese di Ottobre piantavamo l'albero della Pace che diventava un luogo di speranza, dove tutti potevano lasciare un messaggio, un oggetto o qualunque cosa possa essere testimonianza; la giovane pianta veniva decorata con delle ceramiche dipinte, messaggi e opere di artisti italiani, con la speranza che, a fine conflitto, possa diventare un luogo della memoria».
Ovviamente i momenti di serenità e gioia, regalati dagli splendidi sorrisi dei bambini, si alternavano a momenti difficili e di tensione, per tutto quello che si viveva con gli allarmi, le storie che ci venivano rappresentate da gente comune o autorità del luogo, con i giornalieri funerali nel cimitero degli Eroi.
«In effetti in ogni nostro viaggio a Leopoli, ci recavamo sempre presso il cimitero intitolato agli eroi di guerra, dove su ogni tomba e piantata la bandiera ucraina e quella del battaglione in cui operava, ma pure dove vi erano ragazzi rimasti senza un nome o un volto, in cui veniva riportata sola la data di morte. In quel luogo ci veniva data la possibilità di dare un abbraccio ad una vedova a cui gli avevano appena seppellito il marito ricevendo dal picchetto dei militari la bandiera ucraina ripiegata, malgrado ciò, la nostra vicinanza ed un piccolo dono italiano era evidente lo sprazzo di conforto nella povera donna.
In quel cimitero in cui anche le bandiere mosse dal vento provocavano un rumore simile ad un lamento, conoscevamo Oksana ed il marito, genitori di un caduto, lei molto serena e fiera del figlio, con tanta voglia di raccontare, a differenza del marito silenzioso e pensieroso, ma che dopo poco si lasciava andare ad un abbraccio posando la sua testa sulla mia spalla.
Con grande fatica ci aiutavamo nella traduzione attraverso il telefono e la donna ci indicava il figlio deceduto dicendo che tante storie si mischiavano tra quella tombe, perché diceva, "nel cimitero ci conosciamo quasi tutti", tranne i parenti dei nuovi militari caduti, poiché ogni giorno si assisteva alla sepoltura di due o tre militari giudicati eroi».
Tante le storie. Come un ragazzo fotografato sulla tomba insieme al suo cane anti bomba, deceduti per un tragico errore. Una ragazza giovanissima militare medico, uccisa mentre operava un soccorso. Un ragazzo che viveva in Italia e ritornato per combattere per il suo paese, ucciso per un colpo da mortaio, Oksana narrava che la madre non sapeva cosa effettivamente potesse contenere la bara.
Un medico d'ospedale che arruolatosi volontario, rimaneva vittima di una esplosione con all'interno dell'ambulanza. Un ragazzo apparentemente giovanissimo, sulla cui tomba era riportata solo la data del ritrovamento, pur senza un nome. Non rimaneva solo in quel luogo perché sulla sua tomba erano riposti tanti fiori.
«Queste e tante altre storie intrattenevano Oksana con noi, per la sua voglia di raccontare del suo popolo ma con pure la sua espressa volontà quando ci comunicava il suo desiderio "vogliamo che i nostri morti non siano dimenticati", questa sua volontà per AiCS diventata un'altra missione. Lo scorso anno portavamo a Roma una delegazione di bambini di un club di calcio, ospitandoli nella capitale per 6 giorni, durante i quali venivano accompagnati all'udienza Generale del Santo Padre Francesco, ospiti della FIGC, in visita al Colosseo ed al Quirinale, con l'idea già da tempo di portare un gruppo di orfani di guerra in Calabria.
Inizialmente dovevo arrendermi di fronte al rifiuto di ben due amministrazioni Comunali che dicevano di non avere disponibilità alloggiative, ma quando la voglia di fare non ti fa arrendere, la strada giusta è dietro l'angolo, bastavano poche parole scambiate con Padre Antonio Carfi per poter contare subito sulla sua collaborazione e vicinanza. La scuola materna Maria SS di Porto, ci apriva le porte per ospitare 15 bambini orfani di guerra, mentre grazie al contributo dell'Associazione "Luce sullo Stretto" si potevano acquistare una parte dei biglietti aerei del gruppo».
Da quel giorno il sole è spuntato su ogni iniziativa che trattava bambini. Il Comune di Villa ha consegnato reti e materassi permettendo pure l'utilizzo dello scuolabus per alcuni giorni in cui le attività del gruppo erano indirizzate fuori città. «Alcuni privati cittadini ed alcune attività commerciali ci aiutavano nella sempre più concreta attività, a dispetto dell'indifferenza da parte di alcuni organi istituzionali, ai quali si presentava il progetto.
Lo stesso giorno in cui atterravano a Reggio Calabria, il gruppo, su concessione dello Stato Maggiore dell'Aeronautica, veniva accolto dai piloti delle Frecce Tricolori che dopo le foto di rito e piccole spiegazioni del loro lavoro, regalavano al gruppo i cappellini dei piloti. Tante altre attività si alternavano a cominciare dalla bellissima visita presso il Museo Archeologico dove il Direttore Sudano concedeva l'ingresso libero al gruppo ed una guida; altri giorni in cui il gruppo veniva accompagnato in visita al Castello Ruffo di Scilla e Chianalea, al Circolo Polimeni, navigato sullo Stretto di Messina a bordo della bellissima barca a vela "A. Scopelliti" gestita dalla Lega Navale di Villa San Giovanni, ospitati dal S.E. il Prefetto di Messina per assistere al passaggio della vara della Madonna, una escursione a Gambarie per osservare le bellezze della nostra montagna e tante altre iniziative che hanno reso a quei meravigliosi bambini tanta gioia e serenità, facendo dimenticare per due settimane la tristezza ed il dolore della guerra».
Una piccola festa, una recita, i canti e i costumi dell’Ucraina. Regali, sorrisi e abbracci. Foto per non dimenticare il passaggio di questi piccoli angeli eroici e le lacrime di chi sa che adesso sono di nuovo le bombe a farli saltare giù dal letto.