Voti in cambio di favori al clan, il Riesame smonta le accuse su Tallini: «Solo sospetti»

L'ex presidente del Consiglio regionale rimasto coinvolto nell'inchiesta Farmabusiness. Per i giudici non c'è certezza sui legami diretti con le cosche

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18 febbraio 2021
19:03
Domenico Tallini
Domenico Tallini

«Gli elementi per come rivalutati propendono per un sospetto che non supera la soglia della gravità indiziaria necessaria a giustificare il mantenimento di un vincolo cautelare». Queste le motivazioni alla base dell’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare emessa lo scorso 17 dicembre dal Tribunale del Riesame che ha rimesso in libertà l’ex presidente del Consiglio Regionale, Domenico Tallini, posto agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta Farmabusiness con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio e posto agli arresti domiciliari.

Un filtro tra Tallini e la cosca

Il presidente del Tribunale del Riesame, Giuseppe Valea, così motiva quella decisione: «Il quadro che si delinea all'esito di una rilettura del compendio indiziario porta a ravvisare un filtro tra la cosca e il politico rappresentato con ogni evidenza da personaggi del calibro di Scozzafava, il quale in alcune intercettazioni - va ribadito - vantava il rapporto fiduciario con l'assessore in forza del quale ha potuto coinvolgerlo in un progetto economico mascherando col tempo gli interessi criminali ad esso sottesi. Accedendo a questa prospettiva le considerazioni finali sulla posizione del Tallini possono essere ridimensionate. Il collegio al riguardo non ignora di certo che la stretta e prolungata vicinanza per alcuni anni dell’indagato a personaggi ambigui come Scozzafava e De Sole nonché il prolungato interessamento e l'attivismo dello stesso Tallini rispettivamente nell'affare del consorzio prima e della società farmaceutica dopo quanto meno possono alimentare il sospetto che il ricorrente abbia orbitato per lungo tempo in una zona grigia».


Concorso esterno non provato

E però per il collegio: «Ne consegue che l'incertezza sulla consapevolezza dell'indagato di agire in un contesto illecito e di operare nella cornice di un sinallagma con la consorteria cutrese non consente di confermare la prima ipotesi di concorso esterno». Ma neppure il reato di scambio elettorale appare pacifico: «Analogamente sul fronte elettorale – annottano i giudici - nel quale Tallini avrebbe cercato di ottenere vantaggi attraverso l'azione della cosca va ribadita la mancanza di collegamento diretti tra l'indagato e personaggi attivi in circuiti criminali. Gli unici referenti disposti ad attivarsi sul territorio per favorire un aumento del consenso elettorale del Tallini risultano essere Scozzafava e Macheda. Nel primo caso si osserva non provato che Scozzafava abbia rappresentato a Tallini la possibilità di un appoggio elettorale tramite canali illeciti in mancanza di intercettazioni specifiche in gradi di approfondire la triangolazione dei contatti tra Mellea, Scozzafava e Tallini. La mera contiguità cronologica dei rispettivi contatti non è sufficiente a dimostrare un sinallagma tra la promessa di aiuto elettorale e l'intervento del politico nell'affare del consorzio farmaceutico».

Nessun contatto diretto con la cosca

«Le emergenze investigative attestano che Tallini ha avuto rapporti solo con personaggi in apparenza estranei al contesto criminale e non anche con figure che potessero essere immediatamente percepite come vicine alle cosche. Vale la pena di sottolineare al riguardo che è lo stesso Gip ad escludere contatti diretti tra Tallini e Mellea Gennaro arrivando persino a dubitare della presenza di Domenico Grande Aracri all'incontro in assessorato. A quest'ultimo proposito si torna a ribadire che gli elementi in base ai quali l'ordinanza dà per certi i rapporti diretti tra il Tallini e l'avvocato Grande Aracri Domenico non appaiono pacifici, non essendo, ad avviso di questo collegio sufficientemente riscontrate le circostanze degli incontri. Nel corso dell'indagine non si sono mai registrati contatti diretti neppure tra l'indagato e Salvatore Grande Aracri, quest'ultimo nelle conversazioni in cui si parla del politico sembra alludere ad una conoscenza indiretta sempre per il tramite di De Sole e Sozzafava.

L’attivismo di Tallini

«A fronte di questa circostanza rimane per sempre il dato dell'attivismo del Tallini nell'ambito del consorzio. Il suo prodigarsi per la causa si è visto, è consistito prima di tutto nel procacciare farmacie da consorziare. Tale comportamento può trovare una giustificazione nell'ottica di un interessamento personale del politico rispetto ad una causa che era stata promossa da Scozzafava e della cui realizzazione poteva derivare al politico anche un possibile ritorno sotto forma del consenso elettorale. In questi termini non può escludersi allo stato degli atti, l'ipotesi che l'indagato abbia riposto affidamento su personalità formalmente insospettabili con le quali si interfacciava nel corso del tempo e nel cui interesse egli ha agito. Accedendo a questa ricostruzione invero assume un significato non univoco la frase di Scozzafava: «Alla fine lo vedi qua lui come ci rispetta, senza che andiamo. Eh … quando lo chiamiamo lo vedi subito tac..  a disposizione». Esternazione, quest'ultima, che invero può alludere anche alla disponibilità di Tallini nei confronti di coloro i quali risultavano ufficialmente addetti ai lavori e non anche ad una sua più ampia messa a disposizione verso la cosca».

Nessuna consapevolezza

«L'interessamento del Tallini nell'ambito di questa compagine societaria si giustifica alla luce del fatto che egli aveva effettuato investimenti e che il figlio risultava avere assunto un ruolo all'interno della società. Nessun contatto diretto tra Tallini e Grande Aracri Salvatore si registra anche in questo caso né vi è la prova di una condivisione tra il figlio e il padre del’ informazione ricevuta dal Giuseppe Tallini circa il rapporto di parentela tra Salvatore Grande Aracri e il capo cosca Nicolino. La società era partecipata anche da altre persone che formalmente nulla avevano a che vedere con l'associazione criminale. Sicché non appaiono sufficientemente definiti i confini della consapevolezza dell'indagato circa le presenze criminali nella società».

Accolta così la tesi difensiva rappresentata dal collegio composto dagli avvocati Enzo Ioppoli, Carlo Petitto e Valerio Zimatore.

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