Nel Padiglione Oval, lo spazio della Regione è stato un luogo di narrazione collettiva, accogliente e fiero, in cui si sono alternate le voci di scrittrici e scrittori che hanno raccontato una terra antica e modernissima, aspra e generosa, che non si limita a resistere ma crea, propone, innova
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C’è un silenzio speciale che
accompagna le grandi partenze. Un silenzio che somiglia all’attesa, all’apertura lenta delle porte, al primo passo dentro qualcosa che non è solo una fiera, ma una comunità viva, pulsante, composta da voci, da sogni, da pagine. Il Salone Internazionale del Libro di Torino 2025 si è aperto così: con un silenzio pieno di futuro, un respiro collettivo che aspettava solo di trasformarsi in parola.“Le parole tra noi leggere” – il titolo scelto per questa XXXVII edizione – non è solo un verso di Montale o un omaggio raffinato a Lalla Romano. È stato il cuore palpitante di questi cinque giorni, dal 15 al 19 maggio, in cui oltre 2000 eventi hanno dato forma a un’umanità che si cerca, che si racconta, che ha ancora bisogno di dirsi, magari sottovoce, magari ad alta voce, ma con sincerità.
Torino, nei giorni del Salone, non è solo una città: è una pagina aperta. Nei padiglioni del Lingotto, nei salotti allestiti con cura, nelle sale gremite, nelle mani che sfogliano, nelle matite che sottolineano, si è respirato un bisogno antico e nuovo insieme: quello di essere compresi. Di appartenere. Di trovarsi, anche per un attimo, “dalla stessa parte del libro”.
Il manifesto firmato da Benedetta Fasson – quell’abbraccio sospeso tra intimità e universalità – ha rappresentato con dolcezza il senso più profondo di questo incontro: la letteratura come gesto che unisce. Non importa chi siamo: madre e figlio, amici, sconosciuti, compagni di viaggio. Ciò che conta è che ci stiamo ascoltando.
E poi c’era lei, la Calabria. Non una comparsa. Non una regione tra le altre. Ma una protagonista. Nel Padiglione Oval, lo spazio della Regione Calabria ha avuto la forza e la grazia di un faro acceso nella nebbia. Un luogo di narrazione collettiva, accogliente e fiero, in cui si sono alternate le voci di scrittrici e scrittori che hanno raccontato una terra antica e modernissima, aspra e generosa, che non si limita a resistere ma crea, propone, innova. Una Calabria che non si vergogna delle sue radici, ma le porta come un vessillo, trasformandole in visione.
L’inaugurazione, alla presenza dell’assessore Caterina Capponi, ha dato il via a una partecipazione intensa e significativa. Le file allo stand, gli sguardi curiosi sui volumi, le domande rivolte agli autori, hanno dimostrato che la Calabria sa parlare al mondo quando si concede lo spazio per farlo. E lo fa con libri che sanno di mare e di montagna, di borghi e di resistenza, di emigrazione e ritorno, di silenzi lunghi e parole precise. Libri che nascono nelle case editrici calabresi, avamposti silenziosi di una cultura che resiste, che osa, che semina.
E piccoli luoghi come la biblioteca di Cuti, cuore pulsante in un paese dell’interno, che ogni giorno rinnova il senso più profondo della parola “presidio”: lì dove tutto sembra marginale, sboccia la centralità della lettura, della parola condivisa, della comunità che si riconosce attraverso i libri. Libri che, come la voce di Nuccio Ordine, continuano a seminare pensiero anche dopo la scomparsa, nel segno della bellezza, della scuola, della verità. In quei giorni il Salone è stato tante cose insieme.
È stato il passo felpato dei bambini nello spazio Bookstock, il silenzio attento degli adolescenti davanti a Ginevra Bompiani, la folla che ascolta Toni Servillo o scopre le pagine di Joël Dicker, il sorriso commosso davanti a un volume ritrovato. È stato anche il luogo delle contraddizioni del nostro tempo, ma senza mai perdere la sua natura più profonda: quella di un rifugio, di una casa, dove la parola è ancora sacra, dove il racconto non è marketing, ma umanità. In un mondo che urla, il Salone ha scelto di sussurrare. Di dirci che la leggerezza è una conquista, non una superficialità. Che serve impegno per essere leggeri. Che le parole – se vere – non pesano: ci liberano.
E ora che le luci si sono spente e i padiglioni si svuotano, resta ciò che conta: un libro sottolineato, un incontro che ci ha toccato, un’idea che ci ha cambiati, anche solo un poco. Resta, soprattutto, quella Calabria che ha saputo esserci, con dignità e orgoglio, come una promessa che non finisce col Salone, ma continua: sulle scrivanie, nei cataloghi, nei cuori. Calabria come parola viva, non più da spiegare, ma da ascoltare.