La Calabria piange uno dei suoi figli più luminosi e indomabili: Cataldo Perri, il medico che curava i corpi per dovere e nutriva le anime con la musica per passione, ci ha lasciato. Nato a Cariati, sullo Jonio cosentino, Cataldo si definiva con disarmante umiltà “medico per mangiare e musicista per vivere”. Eppure, in quella frase c’era tutta la grandezza di un uomo che ha saputo fondere scienza e arte, razionalità e istinto, dolore e gioia in un’unica, potente sinfonia esistenziale.

Maestro indiscusso della chitarra battente, strumento antico e viscerale della tradizione calabrese, Perri ha rivitalizzato un patrimonio sonoro che rischiava di svanire. Con album come “Bastimenti”, “Rotte saracene” e “Calarbresh”, ha portato le tarantelle e le melodie mediterranee sui palchi di mezza Europa, negli Stati Uniti, in Sudamerica e persino in Asia, spesso in duo con lo scrittore Carmine Abate, in spettacoli che univano letteratura e suono in un abbraccio indissolubile. Le sue note non erano mai mera esibizione, ma racconti di migrazioni, di mare profondo, di radici contadine intrise di sale e sudore. Ha composto per la Rai, per “Linea Blu” e “Sereno Variabile”, portando la Calabria del popolo nelle case di milioni di italiani.

Ma Cataldo era soprattutto un guerriero. Nel 2010, a soli cinquant’anni, il verdetto implacabile: adenocarcinoma pancreatico. Operazioni complesse, chemioterapie infinite, metastasi al fegato e al polmone. Anni di lotta feroce contro un male che non dà tregua. Eppure, mai un lamento pubblico, mai un passo indietro. Ha trasformato il suo calvario in testimonianza di speranza con il libro “Condoglianze vivissime: viaggio fra una TAC, una PET e una tarantella” (Rubbettino, 2024), un memoir commovente e ironico dove il day hospital oncologico diventa teatro di storie grottesche, di risate condivise tra flebo e attese, di umanità nuda e pulsante. “Vedere il mare e la speranza, anche dove il mare non c’è”, scriveva. E lui il mare lo vedeva sempre, anche nelle stanze asettiche, anche quando il corpo gridava dolore.

Cataldo Perri non è morto: ha semplicemente cambiato ritmo. Le sue melodie continueranno a risuonare nelle piazze di Cariati, nei festival di musica etnica, nelle corde di chi raccoglierà la sua chitarra battente. Ha insegnato a tutti noi che la vita va danzata, anche quando pizzica come una tarantola, anche quando il destino morde. Che la resilienza non è eroismo astratto, ma scelta quotidiana di suonare, raccontare, amare.

Pochi mesi fa lo avevo incontrato con Antonio e Demo Martino in un agriturismo di Cirò, mai immaginando che il suo ultimo percorso sarebbe stato breve per via della sua forza d’animo.

Addio, maestro. La Calabria ti deve un infinito grazie. E il tuo Jonio, oggi più che mai, canterà le tue note eterne.

Un pensiero commosso a familiari, amici e a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo da vicino. Riposa tra le onde che hai tanto amato.

*Documentarista