Il 14 giugno 1837 ci lasciava uno dei più grandi poeti mai esistiti, i cui componimenti sono straordinariamente attuali: ci insegnano a cercare la bellezza anche nella sofferenza, e a non dimenticare che siamo fragili ma mai soli
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14 giugno 1837. Ci lasciava quest'oggi Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti mai esistiti al mondo. Nell’ultimo scorcio della sua vita, Giacomo Leopardi contempla la notte dell’esistenza con occhi lucidi e parole dure come pietra. "Il tramonto della luna", tra i suoi componimenti più profondi e struggenti, non è solo la metafora della fine della giovinezza, ma il saluto all’illusione, alla speranza ingenua, al sogno di un mondo in cui l’uomo possa sfuggire al dolore. È il suo ultimo canto. Un grido sussurrato a tutti gli uomini.
«E tu, lenta, nel cielo / sorgi, o luna…» scriveva tempo prima, nel "Canto notturno di un pastore errante dell’Asia". Ma nel "Tramonto della luna", la luna non sorge: svanisce. È la fine dell’illusione, del sogno, della speranza. È l’addio alla giovinezza, che, come la luna, si allontana lentamente, lasciando l’uomo solo, con la consapevolezza della propria fragilità. È il momento della presa di coscienza definitiva: la vita è dolore, e nessuna felicità duratura è concessa.
Eppure, mai come oggi, Leopardi ci parla.
Nel mondo contemporaneo, dominato dall’immediatezza, dall’apparenza e da un eterno presente, Leopardi resta straordinariamente attuale. La sua voce solitaria, che sussurra le inquietudini dell’animo umano, si fa eco tra le nostre insicurezze, le nostre ansie, il nostro bisogno di senso. In un tempo in cui la sofferenza viene nascosta, Leopardi l’ha resa parola, l’ha trasformata in bellezza.
Ma Leopardi non ci ha lasciato solo disperazione. La sua ultima grande lezione arriva con "La ginestra" (scritta un anno prima della sua morte, avvenuta nel 1837) simbolo di dignità e resistenza. In mezzo alla desolazione del Vesuvio, la fragile pianta fiorisce. E in quei versi si fa strada un’idea rivoluzionaria per il poeta dell’infelicità: la solidarietà tra gli uomini come unica via per affrontare l’insensatezza del dolore.
Questo componimento è considerato un testamento umano.
«Nobil natura è quella / che a sollevar s’ardisce / gli occhi mortali incontra / al comun fato…» scrive nella Ginestra. È l’invito a riconoscere il male, ma a non piegarsi in solitudine: a restare umani insieme, aiutandosi a reggere il peso dell’esistenza.
In un tempo come il nostro, in cui la frammentazione domina, l’eredità di Leopardi è un faro nella nebbia: ci insegna a non fuggire dalla verità, a cercare la bellezza anche nel dolore, e a non dimenticare che siamo fragili, sì, ma mai soli, se restiamo solidali. In questo, la sua poesia è ancora incredibilmente viva.