Dimore storiche, croce e delizia: «Ereditare un palazzo? Bel problema»

VIDEO | Sarà Gaddo della Gherardesca, presidente dell'associazione nazionale che riunisce i possessori di residenze vincolate dalla Soprintendenza, ad animare l'assemblea di Pizzo, dove si riuniranno. L'intervista al presidente della sezione Calabria, Gian Ludovico de Martino: «Non siamo Paperoni»

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di Monica La Torre
26 marzo 2019
17:37

Sono 800, nella regione, gli immobili di pregio in mano ai privati ma vincolati dalla Soprintendenza. E sono 50 i soci della sezione Calabria dell’Adsi, Associazione dimore storiche italiane, che si riuniranno a Pizzo Calabro il prossimo 30 marzo per il rinnovo del direttivo. Sede dell’assemblea, palazzo Taccone–Bevilacqua (già Alcalà), nel centro storico del borgo costiero.

A presiedere l’incontro, il presidente uscente Gian Ludovico de Martino di Montegiordano,  che si candida al secondo mandato, come da tradizione non scritta ma consolidata della governance Adsi, proponendo anche per il triennio 2019-2022 la squadra formata da Fortunato Amarelli, Renato Pietro Taccone, Francesca Valensise (attuale vice presidente) e Domenico Zerbi.
«La sfida più grande e più urgente - ha dichiarato a tale proposito il diplomatico calabrese, ex ambasciatore italiano in Australia e in Iraq, raggiunto nella sua residenza di Amantea -, è quella di trovare un interlocutore pubblico costante e pragmatico. Abbiamo l’obbligo di individuare fondi e risorse, anche comunitarie, tali da mantenere in vita un patrimonio tanto complesso. Con 800 residenze abbiamo enormi potenzialità, e stiamo crescendo anno dopo anno. Ma la strada da fare è lunga». (in foto, Gian Ludovico de Martino di Montegiordano)


 

Come definirebbe la sua regione?

«Viviamo in un territorio che ha subito un drastico impoverimento, e l’abbandono di molte delle dimore di pregio che ancora oggi, comunque, rappresentano l’unicum urbanistico calabrese. Le cause storiche sono molte, e vanno dal trasferirsi delle grandi famiglie a favore di realtà più abbienti e di maggiori attrattiva sociale (fenomeno intensificatosi soprattutto nel XX secolo), agli enormi costi di gestione, passando per le proprietà indivise, le questioni ereditarie, la destinazione finale dell’immobile, i cambiamenti di proprietà. Le nostre dimore sono spesso sovradimensionate rispetto ai mutati standard abitativi. E non è affatto facile trovare utilizzi alternativi. Non è che non c’è stato interesse: c’è stata una “rivoluzione"».


Che percezione si ha del proprietario di una dimora storica?
«Direi eccessivamente ottimistica. Non siamo i Paperon de Paperoni che comunemente si crede. Siamo persone che investono per tutelare e condividere il loro patrimonio, e che si caricano di immensi sacrifici per mantenerlo in vita. Cerchiamo di fare quello che possiamo, ma abbiamo bisogno di strumenti capaci di supportarci. Senza incentivi non si va da nessuna parte. In tal senso, la sensibilizzazione è fondamentale. In Calabria, ad esempio, abbiamo intessuto un dialogo con la Regione da tempo: e stiamo aspettando di entrare in una fase concreta, che speriamo si attivi al più presto».


Cosa avete chiesto agli enti pubblici?
«Abbiamo sollevato le questioni relative al recupero dei centri storici, dove i nostri palazzi costituiscono un elemento fondamentale di valore artistico, storico e culturale. L’ultimo bando che prevedeva risorse consistenti per il loro recupero escludeva dalle risorse i privati cittadini, prevedendo solo fondi a vantaggio del pubblico. Francamente, mi sembra una visione parziale: se ad esempio si vuole mantenere in vita il borgo vecchio di Amantea, non si può non considerare il ruolo dei privati che tanta responsabilità hanno nella gestione dei loro palazzi. In fondo, siamo noi a dover agire sempre nel nome del rispetto e dell’integrità urbanistica. Il degrado che ci circonda, dimostra che laddove non si vigila e non si rispettano certi canoni, accade il peggio: ci vuole ben poco per trasformare una casa del ’500 in uno scempio totale. (In foto, palazzo Carratelli, Amantea)».

Quali sono i problemi più grandi, oggi, che un proprietario deve affrontare?
«Un bene sotto l’egida della Soprintendenza, un bene vincolato, è un patrimonio sul quale non hai un’effettiva proprietà. I paletti normativi sono infiniti, e soprattutto onerosi. I lavori che di cui necessita un immobile storico, comporta un dispendio di risorse inimmaginabile per una normale abitazione. A questo dobbiamo aggiungere anche il fatto che dal 2011 gli interessi dei proprietari sono stati pregiudicati da provvedimenti che hanno aggravato il regime fiscale e di fatto sospeso e ridotto i benefici e le facilitazioni previsti per i beni vincolati. Questo, può far capire il peso, le problematiche che comportano tali proprietà. Ci sono però segni positivi: recentemente è stata rifinanziata dal Ministero dei Beni Culturali l’erogazione dei contributi per i lavori di restauro degli immobili vincolati».

In che modo l’associazione può venire incontro a queste esigenze?
«L’Adsi ha come esplicita missione quella di difendere, preservare e valorizzare il patrimonio. Lo fa attraverso azioni di lobbying, promozione e comunicazione, organizzazione di eventi e consulenze. Tra l’altro prevede per gli appassionati non proprietari, la possibilità di diventare soci aderenti, versando una quota annua di 71 euro. Sarà proprio questo genere di iniziative ad essere valutato, nel corso della prossima assemblea regionale, il 30 marzo».

Cosa accadrà nel corso dell’incontro?
«Torno torna a proporre la mia candidatura insieme ai consiglieri che mi hanno accompagnato in questo primo triennio. Importante sottolineare la presenza del presidente nazionale Adsi, Gaddo della Gherardesca, che insieme ai nostri soci sarà ospite dei padroni di casa, i marchesi Taccone di Sitizano».

Giornalista
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