La costrizione

Ucraina, nel Donbass prigioni speciali per chi vuole lasciare l’esercito russo

L'accordo iniziale prevedeva che se un militare non avesse voluto partecipare al conflitto, sarebbe bastato attendere la scadenza del contratto, rinunciando allo stipendio e ad un possibile lavoro. Ma sembra che le cose non stiano andando così

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di Giusy Criscuolo
28 luglio 2022
09:30

Si leggeva su TASS, Ria Novosti e altri canali filo governativi, che se un militare avesse voluto lasciare l’esercito e non avesse voluto partecipare al conflitto, sarebbe bastato attendere la scadenza del contratto o rinunciare a questo scindendolo. Unico “dazio” da pagare la mancanza di stipendio e di un possibile lavoro.

Sembrerebbe però che le cose non vadano esattamente come descritto. I rischi per chi si ritira o si rifiuta sono peggiori e anche se il contratto di ingaggio è scaduto, i militari sono costretti a restare sul posto senza poter lasciare gli incarichi ricevuti.


Nel Donbass oltre alle carceri per i prigionieri di guerra e i contractor, sarebbero state create prigioni speciali per coloro che si rifiutano di combattere tra le fila di Mosca. Le strutture si troverebbero esattamente nell'Ordlo, quelli che sono definiti i territori temporaneamente occupati delle regioni di Donetsk e Luhansk. In queste zone sarebbero state create delle prigioni speciali per detenere i residenti locali, i soldati russi e i contractor stranieri provenienti dalle varie zone del Caucaso e non solo. In poche parole sarebbero detenuti coloro che hanno cambiato idea e che si rifiutano di combattere dalla parte della Russia.

Vi è una prigione segreta a Bryantsi che sembra essere attiva dal 2014 e che nell’ultimo periodo ha ripreso a lavorare a pieno regime. A dirlo il difensore dei diritti umani Pavlo Lysyansky durante il telethon di Sospilny: «La prigione segreta di Bryantsi nella regione di Luhansk esiste dal 2014 sulla base di un sanatorio. C'è anche un posto per una prigione ufficiale esclusivamente per coloro che hanno dovuto combattere in direzione di Kadiivka - Pervomaisk».

Sembra che l’aumento di queste strutture sia in crescita, perché ad oggi anche le mogli e i parenti di coloro che vorrebbero smettere di partecipare alle offensive sembrano aver iniziato una forte protesta l’osservatore.  «Oggi ci sono molti disertori e siamo a conoscenza di due carceri simili nel territorio del Donetsk». Lysyansky ha anche aggiunto che la maggior parte di coloro che si rifiutano di combattere nell'esercito russo provengono dalle repubbliche nazionali.

I soldati russi del Daghestan e della Buriazia capiscono che il Cremlino li usa come “carne da cannone” e aggiunge che una parte della popolazione di queste regioni sarebbe pacifista. Peccato che tra le atrocità più grosse, commesse in questi mesi, ci siano come attori protagonisti proprio coloro che sono definiti carne da cannone.

Solo 500 i militari buriati che hanno rifiutato il contratto. Ma di loro e dell’Associazione che li difendeva si sono perse le tracce, compreso il sito che né è stato oscurato.

Ha detta di Meduza, sarebbero invece centinaia i soldati russi che hanno deciso di ritirarsi dal servizio e che attualmente sono detenuti nella regione del Luhansk e sembra che i Comandi di appartenenza starebbero cercando di rimandarli al fronte. I parenti di questi uomini sarebbero stanchi e avrebbero iniziato a denunciare a giornalisti e a difensori dei diritti umani ciò che accade. L’importante è che il nome non venga fuori, oppure il rischio sarebbe quello di mettere in pericolo coloro che stanno cercando di accendere un occhio di bue sulla questione.

Secondo la pubblicazione Verstka che ha dedicato molto materiale a questo argomento, ci sarebbero almeno 234 militari detenuti a Bryanka. Nella pubblicazione si legge che in questa città è stato organizzato un centro speciale per i “refusenik” (persone che si rifiutano di collaborare).

Il 21 luglio, Aleksey Tabalov, capo del progetto sui diritti umani School of the Coscript, ha dichiarato in onda su Current Time che all’interno di una delle «carceri speciali» potrebbero essere presenti più di 80 persone. A giudicare dalle storie dei militari e dei loro parenti, le persone sono tenute negli scantinati e nei garage e divisi in piccoli gruppi.

Le prime notizie starebbero uscendo fuori grazie alle madri e ai familiari di questi “coscritti” che inizierebbero a parlare. I giornalisti sono stati informati della detenzione a Bryanka, soprattutto grazie alle madri di due dei militari detenuti e che apparterrebbero alla società di ingegneria e genieri con sede in Abkhazia. A detta delle madri, le autorità hanno rifiutato il loro licenziamento, assieme a quello di un cospicuo gruppo di militari che ha trascorso tre mesi e mezzo in guerra e che avrebbro lasciato le proprie posizioni nella regione di Kherson, raggiungendo autonomamente l'ufficio del comandante in Crimea.

Lì a detta delle madri, e riportato su diversi giornali indipendenti, arrivati al Comando, gli avrebbero detto che sarebbero stati inviati attraverso la regione di Rostov in Abkhazia, dove avrebbero potuto rescindere i contratti. La realtà è che da Rostov sono arrivati a Bryanka.

Secondo la madre di Artyom Gorshenin, suo figlio ha raccontato che all'inizio i militari erano stati collocati nell'edificio scolastico, dove c'erano più di 160 persone, e poi erano stati divisi in gruppi di 20 persone e chiusi negli scantinati. Il geniere dice che erano sorvegliati dai “musicisti” – che in gergo tecnico sembrano indicare i mercenari del PMC Wagner.

Le unità di provenienza di questi uomini sono a dir poco numerose e collocate in ogni zona dell’Ucraina. Ma a detta dei familiari che hanno deciso di parlare, appena si saprà di queste denunce cercheranno di mettere a tacere tutto. Per questo ad oggi, 23 luglio 2022 sono sempre di più i civili che stanno iniziando a denunciare. Ovvio è, che chi fino ad oggi ha appoggiato l’aggressione russa urlerà al falso, così come chi al contrario appoggia le UA sottolineerà la veridicità delle fonti.

Di certo vi è, che solo andando sul posto puoi testare con mano, con un registratore e senza fotocamera ciò che accade. La gente del posto sarà più propensa a raccontarsi e a raccontare. Alcuni ti dicono «Non ho paura, fai pure le foto» altri prima di parlare devono sentirsi protetti anche da “TE” che sei per loro un estraneo che a breve tornerà nella sua terra e senza rischiare molto. E anche quando ti permettono di fare una foto ci pensi sempre due volte prima di pubblicarla.

Giornalista
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