In un tempo in cui l’immagine del lavoro è spesso associata al digitale, allo smart working o a un posto fisso nel pubblico impiego, la Calabria custodisce un patrimonio produttivo che rischia di essere oscurato: l’artigianato. Esistono infatti ancora realtà, a volte fragili, a volte resilienti, di artigiani che continuano a modellare argilla, terracotta, ceramica; a impastare mandorle e zucchero per torroni, mostaccioli e dolci tipici; a intrecciare vimini o tessere seta e lana secondo tradizioni secolari. Le maestranze calabresi rappresentano un capitale economico e culturale la cui tenuta non può essere data per scontata. Sono mestieri che raccontano storia, cultura, identità e che meritano di essere visti non come relitti del passato, ma come potenzialità per un futuro alternativo, dignitoso e creativo.

Il calo dei mestieri tradizionali: una realtà che allarma

Non è un caso che, negli ultimi dieci anni, il numero delle imprese artigiane sia calato sensibilmente, gli artigiani registrati in Calabria sono passati da circa 37.916 (nel 2014) a 31.839 nel 2024: una contrazione di circa il 16%. Non è un problema solo numerico, ma culturale: il ricambio generazionale stenta: molte botteghe chiudono, altre restano senza eredi, altre ancora faticano a coniugare tradizione e competitività. La riduzione del ricambio generazionale è forse la questione più rilevante dal punto di vista strutturale. Non perché manchino opportunità, ma perché mancano narrazioni adeguate, nelle quali i mestieri tradizionali faticano a mostrarsi come carriere sostenibili e di prestigio.

Eppure, i dati economici raccontano una storia diversa da quella immaginata. Se da un lato molte attività artigiane chiudono a causa delle difficoltà gestionali, dall’altro il prodotto artigiano calabrese continua a posizionarsi bene sui mercati: alcune produzioni dolciarie sono stabilmente richieste all’estero, le ceramiche artistiche compaiono in boutique internazionali, la lavorazione della seta e dei tessuti tradizionali trova spazio in progetti culturali e creativi. Il mercato esiste, la domanda cresce e il valore percepito dell’artigianato, soprattutto in un mondo che cerca autenticità e sostenibilità, non è mai stato così alto.

Perché l’artigianato può tornare attrattivo se sostenuto davvero

Occorre però superare una visione romantica dell'artigianato, che rischia di ridurlo a un repertorio folkloristico o a un bene da tutelare come si tutelano le opere museali. Un passaggio fondamentale è capire che non bastano i fondi per macchinari o nuovi capannoni: serve un piano organico di ricambio generazionale e nuova imprenditorialità.

Serve una sorta di “Piano Marshall” regionale sui mestieri che punti su formazione, trasmissione dei saperi, accompagnamento dei giovani artigiani con azioni concrete che partano dalle aree interne e dalle zone marginali, dove il rischio di spopolamento è più alto e le opportunità di lavoro più scarse.

Ma non basta, occorre l’integrazione con il turismo. Se la Calabria oggi è premiata per le bellezze naturali, per coste e borghi, è paradossale che raramente colga l’occasione di offrire un “prodotto turistico integrato” che unisca natura, storia, artigianato e gastronomia. Un “turismo esperienziale” in cui il visitatore non sia spettatore, ma partecipante: che entri nella bottega, osservi le mani dell’artigiano, impari a impastare un mostacciolo, segua la cottura di un vaso di terracotta, assista alla tessitura di un tessuto, scopra la storia dietro ogni oggetto.

La “vetrina Milano”: cosa ci dice Artigiano in Fiera

L’edizione 2025 di Artigiano in Fiera a Milano Rho è stata un banco di prova significativo. La Calabria si è presentata con uno spazio espositivo di circa 1.600 metri quadrati e oltre 220 aziende tra artigianato, agroalimentare e produzioni tipiche: uno dei padiglioni più estesi e visitati dell’intera manifestazione.

Non è solo questione di metri quadri. È andata in scena una narrazione compatta: brand “Calabria Straordinaria”, artigiani che lavorano dal vivo, degustazioni guidate, prodotti innovativi come la cosmetica alla cipolla rossa di Tropea, fino alla novità del ristorante “Calabria”, che traduce in esperienza diretta il legame tra materie prime, ricette e territori.

In pochi giorni, migliaia di visitatori transitano nello stand regionale, acquistano, assaggiano, fanno domande. Per molte piccole imprese è l’occasione di misurarsi con un pubblico nazionale ed estero, raccogliere feedback immediati, costruire contatti commerciali.

Ecco allora un’opportunità concreta per la Regione: trasformare l’artigianato da “nicchia nostalgica” in pilastro di un turismo lento, consapevole e diverso, testando sul campo una strategia che lega in modo esplicito impresa artigiana, promozione turistica e storytelling territoriale.

Mestieri, borghi e turismo esperienziale: la leva territoriale

Se c’è un luogo dove questo piano può produrre il massimo impatto, sono proprio i paesi dell’entroterra, quelli che spesso soffrono lo spopolamento. In molti di questi centri, la bottega artigiana è stata, e in alcuni casi è ancora, un presidio di comunità prima ancora che un’attività economica: luogo di socialità, memoria, trasmissione di storie.

La domanda che si pone oggi è se sia possibile trasformare questa eredità in prodotto turistico esperienziale. L’esperienza di Milano suggerisce che la risposta è sì, a condizione che il sistema venga progettato a monte: non bastano visite occasionali alle botteghe, ma servono format strutturati come weekend tematici, laboratori “mani in pasta” su torroni e mostaccioli, giornate dedicate alla ceramica e alla terracotta, percorsi tra tessitura e enogastronomia che vanno inseriti in pacchetti turistici chiari, vendibili, riconoscibili.

In questa prospettiva, gli artigiani non sono attori isolati ma nodi di una rete più ampia, che coinvolge operatori turistici, guide, strutture ricettive, consorzi, amministrazioni comunali. La stessa logica che oggi vede concentrare, in uno stand a Rho, prodotti diversi ma riconducibili a un unico racconto di territorio, può essere replicata sul campo nei borghi calabresi.

Dalla Fiera una sfida di dignità, identità e futuro

Artigiano in Fiera dimostra che, se l’offerta viene curata e comunicata in modo unitario, la Calabria è in grado di competere e di emergere in una delle vetrine internazionali più rilevanti dell’artigianato.

Il punto, adesso, è evitare che tutto si esaurisca con la chiusura dei padiglioni. La vera sfida è trasformare questo modello in una strategia stabile: definire quali mestieri sono prioritari per identità e potenzialità economica, programmare interventi pluriennali su formazione e promozione, costruire un collegamento sistematico con i flussi turistici, non solo balneari ma anche culturali e rurali.

In questo scenario, mestieri come il maestro torronaio, il ceramista, il vasaio, il tessitore o il produttore di liquori identitari non sono figure marginali: sono, a tutti gli effetti, asset strategici.

Se la Calabria saprà trattarli come tali, il dibattito sui mestieri artigianali potrà entrare, finalmente, nel lessico della politica industriale e del marketing territoriale, perché la posta in gioco non è un ritorno nostalgico al passato, ma un rilancio consapevole del futuro.