Cgil-Cisl-Uil: «Il governo ha dimenticato la vertenza degli Lsu-Lpu calabresi»

L'interlocuzione istituzionale paralizzata e nessuna risposta da Roma. La triade sindacale ritorna a farsi sentire e con una nota cerca di attirare l'attenzione sui precari calabresi: «Questo - dichiarano - è caporalato di Stato»

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17 dicembre 2018
14:32

«La mobilitazione degli ex Lpu ed Lsu calabresi continua. La protesta non si ferma perché il Governo si è dimenticato della Calabria. La mancanza di risposte sulla delicata vertenza dei lavoratori precari calabresi ci preoccupa». «Quanto affermano, in una nota congiunta, i segretari generali calabresi Angelo Sposato (Cgil), Tonino Russo (Cisl) e Santo Biondo (Uil). «L'interlocuzione istituzionale, già esigua sin dalla prima ora - proseguono Sposato, Russo e Biondo - adesso si è completamente paralizzata».

 


«La Calabria chiama e Roma non risponde - proseguono i sindacati -  Seguendo un solco tracciato dagli amministratori precedenti anche il 'Governo del cambiamento' sacrifica, ancora una volta, la voglia di riscatto della Calabria. Dalle notizie capitoline rimbalzate in Calabria ci pare di capire che la discussione in Commissione bilancio al Senato sull'emendamento 'salva precari' non abbia fatto passi avanti. La possibilità che potrebbe essere offerta agli enti locali calabresi di derogare alle norme statali e procedere ad un prolungamento del rapporto lavorativo con i precari presenti in pianta organica non può bastare. Senza la copertura economica e finanziaria del provvedimento, senza la storicizzazione di questo finanziamento, la vertenza non si risolve. Chi è precario oggi, chi lo è da oltre venti anni, continuerà ad esserlo anche in futuro. Questo è inaccettabile».

 

«Questi 4500 lavoratori - sostengono ancora i leader calabresi di Cgil, Cisl e UIl - che hanno investito per oltre venti anni la loro vita in un'esperienza lavorativa al servizio dei cittadini calabresi, che hanno fatto muovere la macchina burocratica di centinaia di comuni, che sono stati costretti ad accettare una forma prolungata di 'caporalato di Stato', adesso, si troverebbero in stato di povertà assoluta. Per loro, che chiedono dignità e lavoro - concludono- non può bastare la paradossale e nemmeno scontata ricaduta nel bacino dei percettori del reddito di cittadinanza»

 

 

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