Il nostro Paese ha un fisco complesso, iniquo e inefficace. Altrove si combinano controlli certi, tasse eque e servizi pubblici efficienti. Un confronto che svela le radici della crisi fiscale italiana
Tutti gli articoli di Economia e lavoro
PHOTO
“Italia al netto. Dentro la giungla del fisco, tra tasse, evasione e condoni”. È il titolo del nostro dossier concepito come un viaggio nei numeri e nelle contraddizioni del sistema fiscale italiano. Cercheremo, in cinque puntate, di capire perché paghiamo tanto, chi evade, cosa succede negli altri Paesi d’Europa, e come uscirne. Un’inchiesta per capire cosa non funziona e cosa può cambiare. Questa è la seconda parte del dossier. Clicca qui per leggere la prima parte.
Per comprendere le radici della crisi fiscale italiana, è utile uno sguardo comparato. Se l’Italia sconta una delle pressioni fiscali più alte d’Europa, un’evasione fra le più estese dell’Occidente, e una frequenza anomala di condoni, altri Paesi hanno adottato da tempo strategie diverse, basate su chiarezza normativa, efficienza nei controlli e un più solido patto sociale tra Stato e cittadini.
Il modello americano: tassazione semplice, controlli efficaci
Negli Stati Uniti il sistema fiscale è decentralizzato e basato su un principio chiaro: paga chi guadagna, con un’architettura progressiva ma non opprimente. Le aliquote federali vanno dal 10% al 37%, a cui si sommano imposte statali variabili. Ma ciò che conta davvero è la percezione di equità e la certezza dei controlli.
Il ruolo dell’Irs (Internal Revenue Service) è centrale. Grazie a un uso massiccio della tecnologia e a una forte interoperabilità tra enti, l’evasione fiscale è stimata tra il 7% e il 9% del gettito, meno della metà rispetto all’Italia. L’obbligo per i professionisti (in particolare i commercialisti) di certificare le dichiarazioni e la possibilità di sanzioni molto severe – anche penali – per i trasgressori, creano un forte deterrente.
Inoltre, i rimborsi fiscali sono rapidi e i moduli sono semplificati. Secondo l’Ocse un cittadino americano impiega in media 13 ore all’anno per adempiere agli obblighi fiscali. Un italiano ne impiega circa 238, secondo i dati della Banca Mondiale.
I Paesi del Nord Europa: alto prelievo, alta fiducia
La Danimarca, la Svezia e la Finlandia presentano una pressione fiscale anche superiore a quella italiana (fino al 44-46% del PIL), ma con una differenza sostanziale: la percezione di equità del sistema.
In questi Paesi lo Stato restituisce molto in termini di servizi pubblici efficienti, welfare e istruzione gratuita; i controlli sono puntuali, non vessatori, e fortemente digitalizzati; l’evasione fiscale è quasi marginale: in Svezia si stima intorno al 3% del gettito complessivo.
La dichiarazione dei redditi è precompilata e spesso il cittadino deve solo confermare i dati. Lo Stato ha accesso diretto a tutte le informazioni necessarie grazie a banche dati integrate e aggiornate in tempo reale.
Francia e Germania: meno condoni, più certezza
In Francia, la pressione fiscale è simile a quella italiana, ma lo Stato non ricorre mai ai condoni. Gli accertamenti sono costanti, e la politica fiscale segue un principio chiave: chi evade paga, sempre. Questo crea un forte incentivo alla compliance spontanea.
In Germania, il fisco è decentralizzato ma estremamente efficiente. I Länder sono responsabili della riscossione, con autonomia e rigore. Il pagamento delle imposte è strettamente collegato al reddito effettivo, grazie alla trattenuta alla fonte per la maggior parte dei redditi. Il risultato è un tasso di evasione tra i più bassi d’Europa, inferiore al 5% del Pil.
Italia: la lunga storia dell’impunità fiscale
Perché allora l’Italia non riesce a fare lo stesso? Le ragioni sono molteplici, ma tutte convergono su un punto: manca la certezza del diritto e dell’accertamento. La lotta all’evasione è spesso ostacolata da una giungla normativa: leggi, decreti, eccezioni, proroghe, bonus. Il sistema fiscale italiano è uno dei più complessi al mondo; da tempi lunghissimi della giustizia tributaria: in media 6 anni per arrivare a sentenza definitiva su un ricorso; da una bassa digitalizzazione dei controlli: nonostante i progressi con la fattura elettronica, l’interconnessione tra enti è ancora incompleta, da condoni frequenti: la possibilità che lo Stato chiuda un occhio in futuro mina ogni azione di contrasto.
Secondo i dati del Tax Justice Network, l’Italia è uno dei Paesi europei in cui è più conveniente evadere, perché il rischio di essere scoperti è basso e le sanzioni spesso non vengono eseguite. Questo genera una cultura dell’impunità fiscale, difficile da sradicare.
Una riforma possibile?
La riforma fiscale promessa da molti governi – semplificazione delle aliquote, riduzione del cuneo fiscale, accorpamento delle detrazioni – resta parzialmente sulla carta. Ma senza un cambiamento radicale nei controlli, nella certezza delle sanzioni e nell’efficienza della macchina fiscale, ogni tentativo rischia di essere un palliativo.
Occorre recuperare il senso del dovere fiscale come fondamento di una democrazia matura: pagare tutti per pagare meno. Fino a quando questo principio resterà disatteso, l’Italia continuerà a girare in tondo: tasse alte, evasione record, cittadini onesti sotto pressione, e impresa soffocata.
Dossier della Redazione Economia di LaC – LaCapitaleNews (con Michele Gagliardi dottore commercialista)