Via dalla Calabria

La ricetta di Tommaso per frenare la fuga dal Sud: «Valorizzazione dei borghi e formazione per i giovani sono una prima risposta»

Di cognome fa Greco e lavora nel gruppo di famiglia, attivo nel settore agricolo e in quello della sanità privata. «Calo demografico ed emigrazione sono una emorragia reale, che ha ripercussioni anche in termini di progresso e sviluppo del nostro territorio». Sui coetanei che affermano di andarsene perché le aziende pagano poco: «A volte è un alibi...»

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di Franco Laratta
28 gennaio 2024
20:19
Nel riquadro, Tommaso Greco
Nel riquadro, Tommaso Greco

Per Svimez entro il 2080 dal Sud saranno andati via ben 8 milioni di cittadini. Anche ovviamente dalla Calabria. Sarebbe un disastro da tutti i punti di vista. Abbiamo sentito in tanti: chi è rimasto, chi è andato via, chi vive al Nord e anche chi è emigrato all’estero. Oggi facciamo una chiacchierata con Tommaso Greco, un giovanissimo dalle idee chiare. Dopo laurea in Economia aziendale all’Unical si è subito impegnato nelle aziende di famiglia, quale responsabile relazioni esterne del Gruppo iGreco. Con Tommaso ragioniamo sul rapporto Svimez e sulla grande fuga dal Sud.

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«Per natura tendo sempre a non cedere all’idea di scenari catastrofici, occorre essere necessariamente ottimisti, soprattutto nella nostra regione. Tuttavia, il calo demografico e la fuga dei giovani che si registra nelle regioni del Sud è una emorragia reale che continua a sanguinare da tempo, nonostante nel Mezzogiorno l’incidenza dei giovani sulla popolazione sia maggiore rispetto al centro-nord Italia, la popolazione in età compresa fra i 18 e i 35 anni è diminuita del 30% negli ultimi vent’anni. Tutto ciò ha delle ripercussioni anche in termini di progresso e sviluppo, che devono fare il paio con una popolazione che abbia nuove competenze, dinamica e desiderosa di creare un nuovo corso in termini di innovazione».


Una fuga che sembra impossibile fermare. Mentre urlano il silenzio e l’indifferenza delle istituzioni su una questione che cambierà il volto della nostra terra.
«Lo spopolamento si registra in particolar modo nelle aree interne e nei piccoli borghi, ovvero quei luoghi che hanno spesso meno servizi. A mio modesto avviso, al Sud e nello specifico in Calabria questi piccoli borghi sono un patrimonio da valorizzare in termini pratici facilitando gli investimenti da parte degli operatori economici, così facendo si creerebbe un indotto economico considerevole, capace di essere attrattivo non solo per i turisti, ma anche per i giovani del territorio che potrebbero tornare dopo aver studiato o lavorato altrove».

C’è un paradosso: si va via perché non si trova lavoro, ma le imprese meridionali non trovano manodopera, tantomeno qualificata.
«Beh è un paradosso sì, nella nostra Calabria specialmente, dove c’è carenza di personale in diversi settori e un tasso di disoccupazione intorno al 23%, fra i più alti della penisola. La mancanza di manodopera, però, è oggi la problematica principale che affligge le imprese in tutta Italia. Il discorso ritengo però che sia ben più ampio e riguardi anche gli istituti scolastici superiori che non garantiscono ai ragazzi dopo il diploma una formazione tale da poter essere ritenuta qualificata. In questo anche le imprese non sono sempre molto disposte ad investire nella formazione dei propri collaboratori, a differenza di quanto avviene in altre nazioni».

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Si dovrebbe creare un percorso per l’introduzione al mondo del lavoro, in ogni settore.
«Esattamente. Un percorso che deve essere come una catena di montaggio in cui le varie componenti (istruzione, istituzioni e imprese) costruiscano sinergie e procedure ben definite. Per fare tutto questo bisogna investire risorse economiche, ma spesso le risorse vengono spese, sperperate, senza programmazione, che è ben diverso dall’investire».

È venuta meno anche buona parte degli immigrati, e ancora si fa poco per organizzare flussi legali verso il nostro Paese.
«Conosco tante persone emigrate dai loro Paesi di origine verso l’Italia, che vedono in noi un Paese delle opportunità, molti collaborano con noi nelle nostre aziende da un ventennio. Purtroppo anche questa concezione inizia a mutare e l’Italia sta diventando solo un punto di transito per l’Europa. Con il decreto flussi 2023 è previsto l’ingresso di 450.000 cittadini stranieri nel triennio 2023-2025, ma ritengo che una volta arrivati si vivrà lo stesso problema che si vive con i cittadini italiani, ovvero, mancanza di manodopera da un lato e persone occupabili ma non specializzate dall’altro».

È necessaria una vera programmazione.
«Programmare e agire con tutti gli attori coinvolti diviene necessario affinché si crei un circolo virtuoso. Se c’è formazione del personale, le imprese diventano più competitive e questo vuol dire aumento dei volumi d’affari e dei livelli occupazionali, a prescindere dall’appartenenza etnica».

Tanti ragazzi accusano le imprese di pagare poco e di pretendere troppo.
«È un discorso delicato, poiché alle volte è un alibi per chi è poco incline al sacrificio, ma altre volte corrisponde a quanto accade. Bisogna avere la capacità di comprendere che chi lavora deve essere remunerato come previsto dai contratti nazionali. Non si può pensare come quarant’anni fa e dire, ad esempio, che i ragazzi durante le vacanze estive facevano i camerieri gratis o con una minima remunerazione solo per lavorare, anche se probabilmente noi giovani di oggi abbiamo siamo meno disposti al sacrificio rispetto alle generazioni precedenti, ma non è una scienza esatta. Oggi, il costo della vita è lievitato in maniera esponenziale per via dell’effetto inflazionistico a seguito anche delle varie congiunture, pandemia e conflitti su tutti. Anche gli imprenditori devono investire in formazione, ma devono esserci le condizioni per poterlo fare, perché la situazione per chi fa impresa in Italia non è incentivante».

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È cambiato il concetto di lavoro. Si parla di settimana corta, cortissima. Nessuno vuole più sprecare la propria vita facendo grandi sacrifici.
«Spesso leggo che la pandemia ha cambiato il modo di vivere e le priorità. Ci sono nuove modalità di lavoro, figlie dell’esperienza maturata dal Covid 19 che ha fermato il mondo. Io personalmente mi sveglio all’alba e sono al lavoro fino a sera inoltrata, perché ho visto sin da bambino che i miei familiari e i nostri collaboratori facevano questo. Penso che sia giusto lavorare per il tempo necessario, ma bisogna farlo con passione. Personalmente, non nutro particolare simpatia nei confronti di chi è attento al minuto sull’orologio al lavoro, pur non biasimando chi ha una concezione differente dalla mia. Certamente non si deve sfruttare nessuno e ciascuno deve lavorare per le ore previste, ma la mia concezione è che quando si è parte di una squadra significa credere in un progetto comune, condividere i momenti di difficoltà così come il raggiungimento di un traguardo, in questo caso non si bada alle ore lavorate».

Le coppie scoppiano, c’è paura per il futuro, si fa al massimo un figlio per coppia. La società invecchia sempre più. Sta cambiando tutto.
«È cambiata la società, quindi le persone e le loro abitudini. Il clima di incertezza odierno certamente non favorisce l’aumento demografico, perché è triste e crudo dirlo, ma un figlio oggi è un costo considerevole da sostenere, a riprova di ciò in Calabria si registra un tasso di natalità fra i più bassi in Italia. Se ci sono difficoltà e poco sviluppo in uno Stato o in una Regione, tutto diviene più complicato, il benessere deriva dallo sviluppo culturale, imprenditoriale e soprattutto umano. Le nazioni virtuose su tematiche quali ad esempio la sostenibilità ambientale sono quelle in cui “si sta bene”, poiché per mutare le abitudini di una popolazione è necessario creare le condizioni affinché tutti siano attenti e volenterosi nel farlo».

 

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