La bolla non scoppia e la spesa globale per l’intelligenza artificiale aumenta ancora. Alimentare i data center costa e a guidare la corsa sono soprattutto gli investimenti americani e cinesi, con i primi saldamente in testa ed i secondi che in chiusura d’anno toccheranno livelli record: oltre 120 miliardi di dollari. L’IA ha bisogno di potenza di calcolo e ciò implica grandi quantità di energia per far funzionare i data center. Secondo l’Ai Index report 2025 realizzato dalla Stanford University gli Usa tra il 2013 e il 2024 hanno investito 471 miliardi di dollari, seguiti dalla Cina con 119 e dalla Gran Bretagna con 28. Complessivamente l’indice attribuisce 37,3 miliardi di investimenti a ricerca, infrastrutture e governance, seguono gestione ed elaborazione dati con 16,8 miliardi, il settore sanitario con 11 miliardi ed il settore automobilistico con 9,4 miliardi. Le aziende hanno necessità di chip. Chi non può comprarli deve produrli da sè. Gli investimenti asiatici, Cina esclusa (per rendimenti di molto superiori), sono aumentati del 600% negli ultimi 5 anni. India, Corea del Sud e Singapore sono in testa, seguite da Giappone e Hong Kong. Balzo in avanti anche del numero delle imprese operanti nel settore. Sono quasi 7mila quelle create negli Usa tra il 2013 e il 2024, poco più di 1.600 in Cina e 885 quelle nate in Gran Bretagna.

Non c’è solo ChatGPT di OpenAI, e tolti i diretti inseguitori di Sam Altman, i numeri dicono che i modelli disponibili, anche a costo zero e in versioni non professionali, fanno il loro lavoro. In questi giorni tutti gli occhi sono puntati su Nvidia, società valutata oltre 4mila miliardi di dollari, i cui chip avanzati, vietati ai cinesi, alimentano proprio OpenAI. Negli ultimi mesi le vendite sono esplose e sui titoli azionari legati all’intelligenza artificiale si è temuto il peggio. Finora non è successo nulla. Tornando ad OpenAI, è arrivato l’annuncio dell’accordo con Foxconn per la progettazione dei server rack per i data center di ultima generazione destinati alla produzione negli Stati Uniti. Secondo il quotidiano giapponese “Nikkei” l’intesa per ora non contempla impegni d’acquisto, prevede che OpenAi abbia accesso anticipato ai nuovi sistemi e un’opzione per acquistarli. Altman vuole ampliare la filiera statunitense includendo più chip e fornitori locali, e potenziare test e assemblaggio sul territorio Usa. Il passaggio della multinazionale taiwanese da fornitore indiretto a partner diretto di OpenAI, risulta essere un’operazione in linea con le collaborazioni in corso con Google, Aws e Microsoft. L’autonomia produttiva è un sogno cullato da molti ma difficile da far diventare realtà. I materiali con cui vengono realizzati i semiconduttori non sono nelle disponibilità e neppure alla portata di tutti.