Piccole e medie aziende senza accesso al credito diventano preda dei clan: false fatture, scontrini non emessi e società di comodo per riciclare denaro e consolidare potere economico
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Piccole e medie imprese in crisi di liquidità e di finanziamenti nelle mani delle grandi organizzazioni criminali. Sono oltre 61mila e contribuiscono a immettere nel sistema finanziario legale miliardi di euro di provenienza illecita. Il loro numero è in aumento, a conferma del potere pervasivo delle Mafie, sempre meno armate, sempre più propense a gestire fondi e capitali e ad investire in azioni in Borsa e in progetti strutturali. Le imprese infiltrate sono più diffuse nelle aree con mercati del credito più deboli e meno sviluppati. Maggiore è la difficoltà di accedere ai finanziamenti e al credito bancario, maggiore è il pericolo di finire sotto il controllo diretto o partecipato di ‘ndrangheta, mafia e camorra.
Ogni anno circa 2mila piccole e medie imprese finiscono nelle mani dei clan che le gestiscono per raggiungere i propri obiettivi strategici. I settori più infiltrati sono, nell’ordine, i servizi, le costruzioni, l’immobiliare, il commercio e la manifattura. Lo dice l’ultimo studio dell'Unità di informazione finanziaria presso la Banca d'Italia, organismo di controllo impegnato nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. I dati sono stati incrociati con i registri della Direzione nazionale antimafia.
La Calabria occupa la posizione di testa, con quattro province su cinque ai vertici. Reggio Calabria, Vibo Valentia, Crotone e Catanzaro si trovano, nell’ordine, nelle prime quattro posizioni, seguite da Caserta, Trapani, Palermo e Napoli. Sono le più esposte in termini percentuali, sul numero di aziende attive, in rapporto alla difficoltà di accesso al credito e al Pil provinciale. In termini di numeri complessivi sono le città e le province di Napoli (16mila), Milano (12mila) e Roma (9mila) a contarne di più. Da sole costituiscono il 50% del patrimonio aziendale in mano alle Mafie. In Calabria sarebbero oltre 3mila.
La mappa nazionale
Il fenomeno del controllo diretto o partecipato è molto diffuso da Sud a Nord. Le regioni più infiltrate risultano essere la Lombardia, la Campania, il Piemonte, il Lazio, il Veneto, la Sicilia e l’Emilia-Romagna. Dalle investigazioni svolte emerge che i gruppi criminali per riciclare denaro sporco «acquisiscono studi legali, spesso utilizzando società di comodo e/o prestanome, per emettere fatture per transazioni fittizie». In più «le aziende infiltrate collaborano con altre per accettare fatture false, riducendo così il loro carico fiscale».
Solo nel 2022, l'Uif ha ricevuto oltre 155.000 segnalazioni di operazioni sospette. L’Unita di informazione finanziaria dispone di un database aggiornato a partire dall’anno 2000 che contiene schede analitiche e posizione di 2,3 milioni di aziende italiane: 61.186, il 2,6%, sono classificate come infiltrate «in un dato momento durante il periodo di campionamento». Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre le mafie hanno un giro d’affari di 40 miliardi di euro l’anno, circa il 2% del Pil nazionale. Le organizzazioni criminali sarebbero equiparabili ad una holding internazionale con interessi diffusi in tutti i settori produttivi e, sempre secondo l’associazione degli artigiani, sarebbero la quarta realtà economica del Paese dopo i grandi gruppi a partecipazione statale.
Aziende la collasso e rischio di crisi
Le imprese in difficoltà che non riescono ad accedere al credito regolare restano vittime del circuito di influenze generato dalla criminalità nei territori in cui opera. La presenza delle Mafie distorce il mercato e mortifica le capacità produttive e competitive delle aziende sane. «I profitti criminali – sostiene ancora l'Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia - possono aumentare quando le aziende infiltrate espandono la propria attività intimidendo i concorrenti, acquisendo fondi pubblici tramite corruzione o altri mezzi illegali. Inoltre, gli investimenti in aziende legittime, anche se queste ultime non sono coinvolte o supportate da alcuna attività criminale, possono generare rendimenti economici, connessioni sociali e politiche e, in ultima analisi, aiutare i criminali – avverte l’Uif – a estendere la propria influenza in ambiti legali e illegali».
Più le imprese sono piccole più sono ricattabili ed attaccabili. In più le Mafie adattano le proprie strategie seguendo i trend economici. Nel post pandemia l’Uif evidenzia numeri in crescita nel settore immobiliare. «Le transazioni in genere coinvolgono ingenti asset illiquidi con prezzi flessibili, creando ampie opportunità per riciclare profitti illeciti su larga scala – è scritto nel report - attraverso vendite e acquisti fittizi».
Le aziende sane ma in difficoltà e non in grado di accedere al sostegno regolare sono costrette a subire le conseguenze del declassamento del merito creditizio. Tassi di interesse più elevati, richiesta di maggiori garanzie e possibili restrizioni sulle operazioni finanziarie, aumentano la probabilità di fallimento. Le aziende controllate dalla criminalità organizzata divenute nel tempo un inesauribile pozzo senza fondo inghiottono milioni di euro rimanendo attive solo grazie al sostegno finanziario dei clan.



