I ministri europei del Commercio hanno deciso di valutare l’adozione di un nuovo pacchetto di contromisure nel caso non si dovesse trovare un accordo con gli Usa. Sarebbe il terzo, da marzo. I primi due, con dazi all’importazione di beni prodotti negli Stati Uniti, per un valore di 21 e di 72 miliardi di euro, esistono però solo sulla carta dal momento che sono stati rinviati e poi congelati fino alla data del primo agosto, termine dell’ultimatum commerciale lanciato da Trump. Gli aumenti delle imposte doganali previsti dall’Ue andrebbero a colpire i beni più esportati dagli Usa in Europa: carni bovine e suine, alcolici, cereali, auto e suv, componenti aeronautici, sistemi di bordo e motori prodotti da Boeing.  Il terzo pacchetto di contromisure di cui hanno discusso i ministri europei del Commercio potrebbe riguardare anche i servizi.

Nel 2024 l'Ue e gli Usa hanno scambiato servizi per un totale di circa 817 miliardi di euro: 482,5 miliardi di euro il valore delle importazioni dell'Ue dagli Usa, 334,5 miliardi di euro il valore delle esportazioni dell'Ue verso gli Usa. I servizi più esportati dall'Ue negli Usa sono servizi professionali, scientifici e tecnici, informatici, di informazione e di telecomunicazione, trasporti. I servizi più importati nell'Ue dagli Usa sono i compensi per l'utilizzo della proprietà intellettuale, i servizi professionali, scientifici e tecnici, e i servizi informatici, di informazione e di telecomunicazione. La riunione dei ministri europei del Commercio, presieduta dal commissario Maros Sefcovic, ha evidenziato i timori dei 27 sulla possibilità di non riuscire a trovare un accordo con gli Usa. Il commissario europeo non ha nascosto la sua preoccupazione circa il prosieguo delle trattative. I dazi al 30%, ha detto Sefcovic, avrebbero «un enorme impatto sul commercio» sia in Europa sia negli Stati Uniti. «Sarebbe quasi impossibile - ha avvertito - continuare a commerciare come siamo abituati a fare nelle relazioni transatlantiche».

Lukasz Kobus
Maroš Šefcovic, Commissario europeo per il Commercio

Tra i 27 c’è il timore che Trump, dopo aver rifiutato le proposte avanzate nelle scorse settimane da Bruxelles, possa adottare misure ancora più radicali. Per la Banca centrale europea i dazi imposti dal presidente americano Trump «possono mettere a rischio la stabilità finanziaria dei Paesi dell’Unione» con più imprese insolventi, la possibilità di correzioni brusche dei mercati e implicazioni per i bilanci delle banche. Il vicedirettore della direzione generale per il Commercio della Commissione Ue, Leopoldo Rubinacci, intervenendo ai lavori della commissione Commercio del Parlamento europeo ha avvertito dei rischi incombenti. «I dazi colpiscono il 70% delle esportazioni dell'Ue verso gli Stati Uniti, pari a 380 miliardi di euro. L'amministrazione Usa - ha detto Rubinacci - sta però conducendo delle indagini, in particolare in relazione alla Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, che riguarda prodotti dell'aviazione, farmaceutici, minerali critici, legname, rame e altri beni. Se l'amministrazione Trump decidesse di imporre dazi anche su questi prodotti, la quota delle esportazioni colpite salirebbe al 97%».

Congelati fino ad agosto i contro-dazi sull’acciaio, che potrebbero costare agli Usa 21 miliardi i ministri del Commercio Ue attendono ora un segnale di apertura da parte di Washington. Tutti d’accordo a proseguire sulla via delle trattative senza effettuare strappi e provocare risentimenti o tensioni, ma determinati a salvaguardare le prerogative economiche dell’Unione. Un gruppo di Paesi, guidati da Francia e Danimarca, ha chiesto a Sefcovic di valutare l’impiego di opzioni sanzionatorie più dure: dazi aggiuntivi a carico delle Big Tech e ricorso allo strumento anti-coercizione. Il ministro francese per gli Affari europei, Jean-Noël Barrot, ha definito la minaccia USA dei dazi al 30% «un metodo scorretto che sembra un ricatto e non è all'altezza delle relazioni tra gli Usa e l'Ue». Barrot ha aggiunto che le restrizioni doganali pensate da Washington «ridurrebbero drasticamente il potere d'acquisto della classe media americana, che sarebbe la prima vittima di una tale decisione».