Caos burocratico

Vince concorso al Consiglio regionale nel 2010 ma non viene mai assunto, ora chiede tutti gli stipendi arretrati

Il reggino Francesco Chirico 12 anni fa passa la selezione, ma la prova viene annullata. Da allora lotta per fare valere i proprio diritti affrontando un lungo iter giudiziario. Il Consiglio di Stato gli ha dato ragione, ma a Palazzo Campanella non danno seguito alla sentenza

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di Francesco Altomonte
11 ottobre 2022
12:00
Il Consiglio regionale, nel riquadro Francesco Chirico
Il Consiglio regionale, nel riquadro Francesco Chirico

Chiede solo che il suo compito sia corretto, per vedersi riconosciuto un diritto dopo anni di attesa. Un diritto sancito da una sentenza del Consiglio di Stato che, ad oggi, non è stata applicata dalla burocrazia regionale.

Dodici anni fa, il reggino Francesco Chirico vince il concorso indetto dalla Regione Calabria per operatore informatico. Prende servizio, ma dopo poco deve lasciare l’incarico perché, dopo un ricorso, la prova scritta viene annullata. Non poteva immaginare, all'epoca, che da qual momento avrebbe dovuto ingaggiare una lunga battaglia legale per vedersi riconosciute le sue ragioni. Quella assurda storia in salsa calabrese ce la racconta lo stesso Chirico, che nel frattempo è diventato funzionario dell’Agenzia delle entrate.


«All’epoca – racconta il 44enne reggino - prestavo servizio come funzionario dell’Agenzia delle entrate a Brescia, da quasi 5 mesi, per cui decisi di mettermi in aspettativa per prendere servizio al Consiglio regionale, considerando anche che mia moglie incinta di qualche mese era residente e lavorava a Reggio Calabria. Il caso volle però che, su ricorso di alcuni candidati che non avevano superato il concorso, il Tar di Reggio Calabria prima e il Consiglio di Stato poi, il 20 aprile 2012, dichiarassero la nullità della prova pratica (quella finale) e la necessità di ripeterla, secondo precisi criteri. Il tutto perché erano state ravvisate alcune irregolarità commesse dalla Commissione della Cnipec, società che aveva in appalto la selezione, nella correzione degli elaborati. Irregolarità che, peraltro, non riguardavano il mio elaborato. Cosicché, il mio rapporto di lavoro e quello degli altri 32 operatori informatici, decadde il 7 maggio 2012».

A quel punto, a Chirico non restava altro che ripetere la prova. «Il 19 e 20 luglio 2012, alla presenza della polizia postale e in un clima di grande tensione – spiega – io e gli altri 77 candidati abbiamo dovuto ripetere la prova pratica. Nello specifico, all’inizio della prova si doveva svolgere un’operazione consistente nell’acquisizione, tramite un lettore ottico, di un codice a barre presente sul foglio di ogni candidato, che doveva servire a rinominare la cartella di lavoro nella quale salvare tutti i files della prova svolta».

Chirico, nonostante gli sforzi, non era riuscito ad acquisire il codice a barre ma pensando di incorrere solo in un punto di penalizzazione, conclude il suo compito e consegna. Qualche giorno dopo, però, arriva un’amara sorpresa: la commissione d’esame aveva ritenuto che non aver rinominato la cartella di lavoro col codice a barre poteva costituire un elemento di rischio per la garanzia di anonimato che la Commissione doveva garantire.

Il 18 settembre 2012, presentò alla stessa commissione un’istanza di autotutela, ma venne rigettata. Fu così che decise di inoltrare ricorso al Tar di Reggio Calabria per chiedere la correzione dell’elaborato e il conseguente inserimento nella graduatoria dei vincitori.

«Accedendo agli atti – aggiunge Chirico – ho verificato che in caso di correzione avrei ottenuto il punteggio di 22/30, idoneo a superare la prova e a essere dichiarato vincitore». Oltre al suo, altri ricorsi vennero presentati per chiedere una nuova ripetizione della prova pratica. Uno di questi ricorsi fu così accolto dal Tar che il 3 luglio 2013. Il Tribunale amministrativo regionale dispose la ripetizione della prova pratica per la seconda volta e, di conseguenza dichiarò improcedibile il ricorso di Chirico, dal momento che la prova doveva essere ripetuta. La situazione, però, cambia di nuovo il 27 maggio 2014, quando il Consiglio di Stato annulla la sentenza del Tar decretando la regolarità della prova pratica.

«A quel punto –precisa Chirico – stante il venir meno del motivo che aveva causato la pronuncia di improcedibilità del mio ricorso, per vedere riconosciute le mie ragioni mi vedo costretto a inoltrare ricorso al Consiglio di Stato. Dopo numerosi solleciti e altrettanti rinvii si arriva alla agognata sentenza del 15 marzo 2021, che sancisce definitivamente che il mio elaborato doveva e deve essere corretto suggerendo anche le modalità al Consiglio regionale».

Il 24 giugno 2021, a seguito della richiesta di Chirico circa lo stato di avanzamento della correzione della sua prova, il segretario generale del Consiglio regionale, tramite Pec rispondeva che «questa Amministrazione sta svolgendo le opportune valutazioni per dar seguito a quanto disposto dal giudice amministrativo».

«Quella sentenza del Consiglio di Stato – ha spiegato Chirico – divenuta definitiva per mancata impugnazione già da quasi un anno e mezzo, a oggi però non è ancora stata eseguita. Ancora una volta, ho dovuto far ricorso al giudice amministrativo attivando il giudizio di ottemperanza al Consiglio di Stato, con prima udienza fissata per il 26 gennaio 2023.

Dopo oltre 4 anni di disoccupazione, Chirico nel 2016 prende servizio in una scuola in Lombardia e qualche mese viene assunto all’Agenzia delle entrate a Monza, dopo avere risostenuto il concorso per quel lavoro che aveva lasciato per ritornare in Calabria dopo l’assunzione al Consiglio regionale.

«Ho quindi instaurato una causa di risarcimento contro il Consiglio regionale, al Tar di Reggio Calabria, per vedere riconosciuti i danni patrimoniali, che consistono nel mancato pagamento degli stipendi per 4 anni e 4 mesi, e non. Ciò che mi preme evidenziare – ha sottolineato Chirico – è, innanzitutto, il fatto che un’amministrazione pubblica, dopo quasi un anno e mezzo, non esegue una sentenza definitiva, per la quale peraltro ho dovuto attendere 9 anni, ledendo in maniera pesante e per la seconda volta i miei sacrosanti diritti, già riconosciuti dalla sentenza stessa, causandomi un notevole aggravio di spese legali, che si sommano a quelle dei precedenti giudizi. Non si capisce poi, quali siano i motivi di tale inerzia visto che io stesso, con un semplice accesso agli atti, ho potuto effettuare la correzione del mio elaborato».

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