C’è un Paese che muore ogni giorno di un male antico che lo consuma dall’interno. Questo tarlo ha un nome: corruzione.
“La corruzione è una nemica della Repubblica. E i corrotti devono essere colpiti senza nessun attenuante, senza nessuna pietà”. Così diceva Sandro Pertini.

Eppure di pietà ne abbiamo avuta fin troppa. E di attenuanti ne abbiamo costruite, una dopo l’altra, come fossimo complici di questo cancro che mangia lo Stato, che svuota la democrazia.
Perché non c’è dittatura più sottile della corruzione: non si vede, non marcia in parata, non indossa uniformi. Si annida nei corridoi degli enti pubblici, nel parlamento, nel governo, nelle regioni, negli ospedali e nelle Asl, nei cantieri. In Calabria come in tutta Italia la corruzione dilaga.

Papa Francesco diceva: “La corruzione uccide il futuro”. E qui, da noi, di futuro si muore un po’ ogni giorno. Perché la corruzione non è un peccato astratto, non è solo bustarelle e conti esteri. È cemento scadente che crolla e seppellisce. È un ponte che si sbriciola. È un’aula universitaria finta, una laurea comprata, un vaccino fantasma.

Nella nuova mappa dell’infamia, l’Italia si ritrova 52ª su 180 Paesi per trasparenza. E non serve a nulla vantarsi di essere migliorati di qualche punto se, intanto, si fanno leggi che depotenziano i reati. Se si svuotano i controlli. Se si finge di lottare mentre si chiude un occhio, anzi due.
Perché la verità è che la corruzione, qui, non è un incidente: è sistema. È cultura. È continuità storica di classi dirigenti che si autoassolvono, e che dominano anche quell’informazione compiacente che nasconde le notizie e oscura i furti dei potenti di turno, che dosano lo scandalo come un calmante. Noi abbiamo scelto di raccontare la verità, sempre e comunque. Perché la verità è rivoluzionaria.

La verità è questa: la corruzione è la resa dello Stato. Finché non costruiremo un’educazione alla legalità che valga più di mille sermoni, finché non daremo alle nuove generazioni un’idea di Stato che non sia un’anticamera per mendicanti in fila davanti a un faccendiere, finché non impareremo a votare senza consegnarci ai burattinai né inginocchiarci alle anime nere. Finché continueremo a pregare giustizia sperando che ce la regali un giudice — allora nulla cambierà.