Amadeus, l’insostenibile leggerezza dell’invidia. Quarant’anni fa nelle sale il capolavoro di Milos Forman
La risata inaspettata di Tom Hulce impressionò Milos Forman e gli fece ottenere il ruolo principale nel film che valse a F. Murray Abrahams l'Oscar
La risata di Tom Hulce somigliava davvero al suono di un "metallo che raschia vetro", come citato da lettere apocrife di presunte amanti di un enfant prodige chiamato Wolfgang Amadeus Mozart, e questo divertì Milos Forman, che era a caccia del suo protagonista, per niente stanco dei massicci provini avviati dalla produzione per la ricerca di ruoli collaterali e comparse (furono provinate 1200 persone). «I comprimari – raccontò – devono avere delle facce riconoscibili proprio perché entrano per pochi secondi e devono rimanere impressi».
Con una risata, Hulce vinse il provino per la parte principale nel film "Amadeus" e quasi non ci credeva neanche lui. Non fosse stato per quella, da attore semisconosciuto, la parrucca incipriata probabilmente non l’avrebbe indossata mai. Iniziò a prendere ripetizioni di pianoforte e per il ruolo si ispirò agli sbalzi d'umore del campione di tennis John McEnroe, declinandoli nel fare grottesco di un personaggio infantile e dai toni bizzarri, a cui la Provvidenza aveva concesso il dono dell'incanto. In una scena improvvisò completamente, spiazzando anche F. Murray Abrahams, che quasi faticò a stargli dietro, nella scena in cui Mozart stravolge un motivo di Salieri al clavicembalo, tra le risate di corte.
La rivalità tra Salieri e Mozart
Della rivalità, vera, verosimile, presunta, inventata, romanzata, sublimata, decantata, sfumata o evidente tra Mozart e Salieri, sono secoli che se ne parla. L'opera di Alexandr Sergevic Puskin, poi musicata da Nikolaj Andreevic Rimskij-Korsakov, fu la miccia che accese la leggenda, alimentata anche da certe presunte lettere di Beethoven, allievo di Salieri, che confermavano il cattivo sangue. Pare, tuttavia, al netto delle dicerie, che l’ammirazione dell’autore italiano fosse autentica e non contraccambiata abbastanza, al di là di certi formali apprezzamenti, dal compositore austriaco.
Al di là del reale, della storia (che Forman si rifiutò apertamente di ricalcare, per sua stessa ammissione), il dualismo tra l'eterno secondo e il genio caotico e indisciplinato, diventa uno splendido valzer sull'insostenibile leggerezza dell'invidia, in cui l’odio, come una maschera a due facce, ruota da un lato all’altro impazzita, indecisa se cedere al sorriso, quindi all’ammissione della superiorità del talento sulla ragionevolezza, o al grugno che sottolinea l’ingiustizia perché il dono non è toccato a chi lo avrebbe con cura lucidato per renderlo lustro e pronto per l’altare del merito. Distruggere il divino o avvicinarvisi tanto da riuscire ad avere un po’ di quel dorato sulle dita? Se lo chiede Salieri di continuo, macerando nel suo tormento.
Il tormento di Salieri
Il Salieri di Forman non sa decidersi: fa e si pente, cerca briciole di conforto da quel matto d'un genio, che gli ride in faccia con gli occhi lucidi; riceve nulla o brandelli di indifferenza. Si cruccia e consuma nel desiderio di essere amato, come un figlio che non riesce a conquistare un padre distante. Vorrebbe staccarsi, vorrebbe alienarsi, vorrebbe che quelle maledette sue mani producessero un suono divinamente sufficiente a fargli guadagnare un posticino nell'Empireo che risplende a una spanna da lui.
La pena e la colpa lo tengono in vita abbastanza a lungo da invecchiarlo, incartapecorirlo. Nonostante Mozart si sia consumato negli ultimi istanti solo e malato, e a un dito dalla follia, la sua fama brilla e brillerà, e di questo Salieri ne è consapevole. Frustrato, se ne dà pena; schizofrenico ne è anche felice. Sa apprezzare la bellezza, perché di quella si nutre da tutta la vita, ma non sa tenere a bada l’amor proprio e la gelosia. Cangiante nei toni e nell’animo, il Salieri di Forman è riuscito nell'impresa evangelica di far diventare il primo, l'ultimo; vittorioso il perdente, mentre nell'aria echeggia il Requiem.
Dal teatro al cinema
Il film è tratto da una rappresentazione teatrale firmata dall’autore Peter Shaffer, che Forman volle accanto per la trasposizione filmica. Il regista ceco era consapevole che il lavoro da fare sul set era gigantesco rispetto al palco di un teatro, dove tutto appare finto e va bene così, e non lasciò nulla al caso. Girò a Praga, Kromeriz e Vienna e sapeva benissimo che nel mucchio di comparse che affollavano le scene, si nascondevano agenti dei servizi segreti col compito di spiarlo, perché il governo lo riteneva un nemico del comunismo ed era preoccupato che potesse sfornare un film contrario a certi diktat.
Forman girò a lume di candela, à la manière di Kubrick in Barry Lyndon, e arricchì ogni scena con una selezione di capolavori di Mozart: Il ratto dal serraglio, Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Il flauto magico. Il crescendo emotivo culmina con il Requiem, che accompagna i momenti finali della vita del compositore.
Il Making Of e la scelta di Abrahams
"Amadeus", uscito in America il 6 settembre del 1984, non è solo un film, è un'opera (per l'appunto) che incassò otto Oscar e regalò al pubblico cinephile una delle rivalità più fascinose (e forse fasulle) di sempre. La sinfonia non è un assolo di Hulce, accanto a lui, nei panni dello strepitoso Salieri, livido d’invidia come di ammirazione, sospeso tra la voglia di uccidere l’avversario e idolatrarlo, c’è F. Murray Abrahams (Oscar come miglior attore non protagonista). Abrahams era destinato a una piccola parte, al principio. Poi accadde quello che si racconta nel documentario "The Making of Amadeus". Forman, corteggiava Mel Gibson e Mark Hamill, ma entrambi erano su altri set.
Aveva bisogno di qualcuno che desse le battute a un attore, battute di Salieri, e così chiese ad Abrahams di recitare quella parte di copione. L'interprete fu talmente bravo, talmente intenso, che Forman alzò gli occhi dai fogli e disse strabiliato: «Murray, resta nei paraggi, sei diventato la mia prima scelta». Il resto è storia.