Col sapor di cioccolato...

“Eravamo felici e non lo sapevamo”. Così la nostalgia degli anni 80 e 90 è diventata puro marketing

Al cinema si moltiplicano i remake, i reboot, i sequel di storie del passato che spesso si rivelano dei flop. Il merchandising gioca sull'effetto amarcord e rapina da anime e spot d'antan, ma il risultato è quello di distruggere quel che di buono ancora ricordiamo

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di Alessia Principe
1 agosto 2023
19:30

Il morbo della nostalgia è iniziato sottotraccia, con qualche replica o a tarda notte o troppo presto al mattino. I vecchi cartoni, quelli giapponesi, disegnati a china, fatti a mano come le tovaglie antiche, come certi arazzi di seta, come i tovaglioli del corredo della nonna, come le polpette di melanzane, sono spuntati a colmare buchi di programmazioni d'agosto. Guizzo di gioia breve, volume in su, messaggio all'amico: «Metti sul 6, indovina che danno?»

La curiosità per un episodio di Daitan3, finito in palinsesto come un residuo bellico, una di quelle bombe arrugginite che spuntano dalla sabbia, è stata l’inizio. La stuzzicata nella narice. Il popolo della Y10 di lusso, di Nostromo con la fogliolina d’ulivo in bocca, della Tinsemal-ho-detto-Simmental, del Sanbittèr, c’est plus facile, ha cominciato a uscire, a macinare visualizzazioni sui montaggi, fatti con Paint e caricati su YouTube, degli spot dei Tegolini Mulino Bianco e dei Pennelli Cinghiale. La fame di rivedere il sorriso della forchetta sui Sofficini, ha spinto quei video di recupero in alto nella classifica dei più visti, più cercati, anche se in bassa risoluzione, 4:3, con i fili di riversamento dei nastri Vhs che ci passano sopra.


Perché tuuu...tu sei Jeeg!

Nelle discoteche, a fine serata, prima della "Bamba" che di solito trascinava via anche gli ultimi prodi dal bancone, quelli con la camicia bianca intrisa di sudore e gin lemon, i Dee-Jay hanno cominciato a far girare "Jeeg Robot d'acciaio" sul piatto, riportando i nerd in pista, pure quelli col tacco rotto. Ed è allora che la slavina della malinconia s’è trasformata in una seduta collettiva di psicanalisi. Quando sono partite le feste con l'attacco dedicato ai Soerba e la conclusione ai Fool's Garden, le maratone di Friends su Italia 1, i pupazzi di Uan in vendita su Ebay, abbiamo cominciato a chiederci: cosa ne è stato di noi? Cosa ci resta? Come ci hanno fregati? Di chi è la colpa: di Craxi, della Dc, del marketing, della Milano da bere, di Eros Ramazzotti, dell'Amaro Montenegro, degli stipendi fissi dei nostri genitori, della casa al mare?

Quanto vale la nostalgia?

La gioventù degli 80-90 guastata dagli eventi, maturata a metà come un pomodoro venuto su bitorzoluto e verdognolo, intanto che cercava di capire il passaggio dal posto statale sicuro ai lavori pagati in visibilità, dalla laurea allo stage pagato in Tic-Tac, ha mostrato al mondo del commercio, che la nostalgia è una merce da pesare tanto al chilo e rivendere col ricarico.   

Lo hanno capito ai piani alti degli uffici marketing, lo hanno capito i piccoli fabbricanti di magliettine che hanno cominciato, per primi, in clandestinità, a stampare e a vendere su Etsy, t-shirt con Candy e Lady Oscar, sull'onda dei blogger che spiegavano le dimensioni reali del campo di Holly e Benji, rompendo la quinta parete e anche l'incantesimo che c'aveva convinti della possibilità di tirare in porta e riflettere sul senso dell'esistenza nello stesso momento.

Poi sono arrivate le catene di intimo e i marchi di abbigliamento di lusso, a vendere per 70 euro una maglia di cotone cinese con Capitan Harlock stampato sopra, scontornato pure male. Lui che combatteva il male con un cuore bianco, veleggiava ora sui seni delle vecchie giovani, scolorando al primo lavaggio o alla prima stirata non fatta alla rovescia.

Ma tant’è. Indossare quelle magliette era un segno di appartenenza, un messaggio, era urlare al mondo: io c’ero, ho vissuto il meglio, potevamo farcela a sconfiggere i nemici con i raggi laser, avevamo fede e sapevamo arrotolare le cassette con le Bic, voi Millenium che sapete fare?

Alla ricerca della felicità

Intanto che gli eroi dell’adolescenza invecchiavano su Instagram, si ammalavano, qualcuno veniva arrestato per reati orrendi sgretolando l’ideale robinsoniano della famiglia da salotto, risate e scale col corrimano da usare come scivolo, la voglia di averne ancora di passato al profumo di caucciù, spingeva milioni di persone alla ricerca di quella felicità che finché c’era, pareva invisibile.

Sui social i gruppi a tema ripropongono ogni giorno fotografie di altri tempi, con migliaia di apprezzamenti e commenti, a corredo di pezzi d'antiquariato: i ciuccetti di plastica di Cioè, le mani di gomma delle patatine, i sussidiari (sembra assurdo ma un tempo alle elementari si andava solo con un libro), il Viks VapoRub che ci spalmavano sul petto a chili, l’album di Poochie

Sei alle elementari, le maestre hanno appena unito i banchi...

Un utente, ogni Natale, ripropone lo stesso post: «Sei alle elementari, le maestre hanno appena unito i banchi a ferro di cavallo per fare i lavoretti di Natale. Sei vicino al tuo migliore amico, state incollando penne e rigatoni e vi state staccando la colla vinavil appiccicata sulle mani. Sei felice e non lo sai». Ce n’è anche una versione estiva: «Era il 1999. Ultimo giorno di scuola. Salutavi il tuo vicino di banco quasi piangendo. Davanti a te, tre mesi di vacanze. Tre mesi. Nessuna sveglia. Eri felice e non lo sapevi».

Eri felice anche quando ti alzavi dal posto per temperare la matita al cestino blu con la tua compagna, quando suonava la ricreazione e il mondo sapeva di mortadella, della plastica dei materassini del mare, dello Sprint al cioccolato nel bottiglione arancio e blu. Eravamo felici, non lo sapevamo, è vero, quando mangiavamo le gomme a forma di sigarette sentendoci come la zia con le Multifilter, ma la nostalgia è un velo di seta, a romperlo ci vuole nulla. L’hanno fatto, l’hanno rotto e sostituito con una fusciacca di nylon di Shein, multiuso, dicendo che va bene uguale.

La valanga dei remake

Quando si è capito che sui ricordi ci si potevano fare bei soldi, nelle stanze dei bottoni si è cominciato a piluccare da un gigantesco sacchetto di Yonkers, per rifare la ricetta dei ricordi e renderli moderni, fruibili alle nuove generazioni, vendibili. Un po’ come scongelare dal permafrost antichi batteri: c'era un margine di rischio, ma accettabile.

A ruota lo schermo cominciava con i remake, i prequel, i sequel. Il cinema si è armato fino ai denti, ha riaperto i cassettoni con le sceneggiature del passato, e gli ha dato una bella rispolverata. «La gente li rivuole, e noi li ridiamo alla gente». E così a orde di sceneggiatori si sono affiancate le vecchie glorie che ai botteghini sbancarono. Rievocare e riesumare, rifare il trucco e grattare un fondo di un barile pregiato fino a farne uscire fuori le schegge di legno, ecco la missione.

Hanno ucciso l'Uomo Ragno?

Tra poco arriverà su Netflix la vera storia degli 883, la versione patinata del gruppo degli anni Novanta per eccellenza, che con Jolly Blu regalò la quintessenza del profumo di quegli anni, insieme al vaporizzatore di Giorgio Beverly Hills. La miniserie sarà al solito ben confezionata, con quella nebbiolina leggera leggera, che contraddistingue ogni film e serie in transito su quei canali, e sarà complice di quell'assassinio non dell'uomo Ragno ma del passato, che si compie a ogni attacco di rimpianto. La fotografia grezza, luminosa, a contrasto e coloratissima, non c’è più, al pubblico non piace, quello che piace è il buio pesto dei thriller, così profondo che non distingui chi è morto a meno che non passi da una finestra, e l'atmosfera da "Strangers Things" che ha furbescamente attinto dall'immaginario del decennio dei Duran Duran, dalla Castle Rock di Stephen King, dalle classifiche di MtV, e ha sfornato una cosa ibrida diventata rapidamente roba da spot e anche una versione di Monopoli.

Ma quanti flop

La maggior parte dei rimpasti, fanno flop. I deludenti remake dei vecchi telefilm, strombazzati come eventi dell’anno, da Beverly Hills 90210 a Sex and the City Inps edition, hanno tuttavia spinto a continuare sul solco, rendendo i Ghostbusters fantasmi veri (e poi anche femministi), rivestendo Charlie’s Angels, Streghe, Miami Vice, Dynasty di storie vuote come quelle scatole che le capovolgi e senti la mucca. 

Il presente ha divorato gli Addams, proponendo una Mercoledì da Tik Tok, ha fatto strame di Ben Hur e Indiana Jones, stiracchiando all'infinito la saga Star Wars accompagnata, a ruota da quella di Star Trek. Guadagnino minaccia di mettere mano a “Scarface”, suonano sirene in lontananza dalla spiaggia della California, che annunciano un reboot di “Baywatch” e "Supercar". Barbie furoreggia ovunque nella versione di Greta Gerwich con i meme di "Barbie carboidrati" e "Barbie Viaggi Mentali" (che almeno strappano una risata).

Originali e copie, sbattuti nello stesso frullatore, hanno prodotto ricordi-Frankestein che non piacciono a nessuno: non a chi era felice e non lo sapeva, non ai ragazzi di oggi che non impazziscono certo per un archeologo ottantenne che si sbatte per cercare una cosa del passato che viaggia nel tempo. É tutto un risciacquo con centrifuga e gettare via l'acqua nello scarico.

Forse non ci sono idee, forse non bastano, forse non riuscendo più a immaginare il futuro, si scava nel passato, con le vanghe e con le ruspe. I fiumi delle vecchie glorie sono affollati di cercatori d’oro come nel Klondike, a caccia di pepite tra i detriti che pur c’erano, eccome, in quel passato che appare tutto buono (e non lo era) solo perché lo confrontiamo con un oggi in cui, magari, siamo felici e non lo sappiamo.

Giornalista
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