Il video della funivia Stresa che abbiamo visto tutti forse potrà salvare qualcuno

Quei secondi di orrore hanno scioccato e diviso l'Italia tra chi accusa i media e chi rivendica il diritto all'informazione. Immagini da cui però si potrebbe aver imparato qualcosa...

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di Alessia Principe
17 giugno 2021
23:10

Guardami. Ci abbiamo pigiato sopra, lasciando scorrere le pubblicità di trenta secondi, i banner, i pop up di detersivi e integratori. Un secondo di nero e poi la montagna del Mottarone che brilla sullo sfondo, il lago indifferente addormentato nel blu, e la cabina rossa che sale ed è quasi arrivata. Tutto così nitido, come certi incubi che non ti fanno riaddormentare.

Ancora una volta abbiamo guardato il lenzuolo sulla strada, in preda all’innata tentazione che ci porta a rallentare sulla Statale per spiare le ambulanze ferme, la macchina accartocciata; ad affacciarci dal balcone quando le urla arrivano da giù; a consumare avidamente la cronaca nerissima per spremerne i succhi più collosi; a speculare sui gialli dell’estate perché tanto non ci riguardano davvero, sono cose che accadono dietro al vetro dell’acquario, al di qua ci siamo noi, di là gli altri.


Restiamo dove siamo, ora, tra la gente in poltrona che è rimasta dov'era perché non si poteva farne a meno. Qualcuno è saltato su coprendosi gli occhi, urlando che è tutto disumano, inutile, macelleria mediatica.

Ma il video della tragedia della funivia ormai esiste, fa sanguinare gli occhi e nessuno lo potrà cancellare, mai. In tutto questo scuro che ha quella punta di nero abissale dei lutti irrimediabili, c’è una porta nascosta. È molto piccola, ma nasconde una possibilità: forse qualcosa di buono potrebbe uscirne da tutta questa vicenda.

È una speranza che fa fatica a riverberarsi sull’orrore reale che c’ha sommerso per quei minuti dilatati, ora che si danno colpe e si scuote il capo dicendo: io no, non l’avrei fatto, non l’avrei visto se avessi saputo. È una speranza che passa da un sentiero crudele che porta ad una verità scomoda: alcune cose forse vanno viste.

È orribile da pensare ma c’è una ragione. Vedere è capire la distanza tra il possibile e il reale, ci avvicina al vetro. L’immaginazione macina e si piega e piega la memoria, la vista, invece, non inganna, ti fa spaccare il naso contro quel vetro. La realtà, eccola. Una cura Ludovico d’impatto colossale, che frantuma il confine tra ciò che credevamo di sapere e ciò che è.

E allora cosa accade davanti immagini come quelle che in molti abbiamo visto? Può accadere nulla o, invece, può accadere che qualcuno alzi il telefono e chiami il tecnico delle manutenzioni per riparare quel guasto all’impianto che sono due anni che non va così bene, può accadere che un altro tizio vada di persona a vedere se quei freni sono a posto o vanno cambiati, può accadere che il capo della ditta si tolga le ciabatte, s’infili la giacca e dia una bella occhiata alle impalcature del suo cantiere ché sono mesi che traballano e prima poi qualcuno si farà male. Perché poi le lancette dell’orologio non si possono rimandare indietro. Poi succede e non ci puoi fare più nulla.

Immaginiamolo sulla sedia quest’uomo, con la mano sulla faccia, l’altra sul telefono, gli occhi liquidi, un solo pensiero in testa che va su e giù come una pallina in un flipper: «Cosa sto facendo?». E questa domanda proprio non la pianta di girare impazzita nel cervello mentre davanti a lui scorrono le immagini della funivia che va giù, si schianta e poi precipita.

«Cosa sto facendo?», e ora lo sta mormorando. E la domanda, a un certo punto, diventa una paura, la paura di diventare un assassino. Perché ognuno sa quello che sta facendo, lo sa sempre, e può scegliere. Quel volo, quelle vite rotte, quello è accaduto perché qualcuno ha fatto una scelta.

Allora ne basterebbe uno, uno, che guardando quel video di orrore che raggela lo spirito, capisse che non si può rimandare, risparmiare, voltare la faccia, adattarsi, metterci una pezza, giustificarsi perché i soldi sono pochi e i materiali costano troppo. Uno ci sarà, uno su milioni. Perché di Mottarone ce ne sono tanti là fuori, ci sono tanti Mottarone e tanti Montemurlo dove si trova la fabbrica tessile in cui è morta Luana. In questo momento mentre leggete c’è un pericolo che non c’entra con la natura o con la volontà divina o col fato e ci pende sulla testa.

Forse aver visto la morte vera salverà qualche vita. Anche solo una.

Giornalista
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