Film stracult

Vent’anni di “Se mi lasci ti cancello”. Il film più bello di Gondry con il peggior titolo italiano di sempre

La pellicola uscì nelle sale Usa il 19 marzo del 2004. Oscar come migliore sceneggiatura originale, il film resta un cult visionario per menti "immacolate"

75
di Alessia Principe
20 marzo 2024
11:08

L’eterno splendore di una mente immacolata era un titolo sufficientemente lungo da non entrare in un tendone. Per questo per Charlie Kaufman valeva la pena rapirlo da una poesia di Alexander Pope che in un verso così recitava: “Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale! Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. Infinita letizia di una mente candida! Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio”.

Kaufman purtroppo non ebbe margini di manovra in Italia dove il titolo uscì in sala nell’ottobre del 2004  come “Se mi lasci ti cancello”. Una sintesi brutale e ingiusta che sì, questa sì, andrebbe cancellata dalla memoria. Il film volò al botteghino resistendo alle intemperie delle mode cinefile pret à porter, per incassarsi solidamente nella nicchia delle opere cult, guadagnando un meritatissimo Oscar come migliore sceneggiatura originale.


La storia è un valzer degli addii, per citare Kundera, che volteggia tra la poesia e la memoria, senza mai cedere alla retorica, ai buoni sentimenti, evitando di battere il terreno sdrucciolevole della fine di un amore lacrimoso con un buon giro di soundtrack. Cerebrale e visionario, semplice nell’intuizione e cervellotico nella costruzione, il film ebbe come genesi una manœuvre d’artiste mai consumata.

Nel 1988 Pierre Bismuth, creativo concettuale francese, pensò di inviare a un certo numero di persone dei biglietti anonimi in cui si avvertivano i destinatari di essere stati “cancellati” dalla mente di qualcuno. La performance non si trasformò in quello che immaginava Bismuth, ma in una sceneggiatura per un film. La sua idea scivolò tra le parole che si scambiarono Charlie Kaufman e Michel Gondry che intendeva raccontare una relazione di coppia che non fosse lineare, ma frammentata nel tempo e dove il ricordo e il rapporto con esso, dovesse essere il cuore di tutto.

L’agente di Kaufman (reduce da "Il ladro di orchidee"), Marty Bowen della United Talent Agency, colse immediatamente le potenzialità della storia che incontrò, da subito, produttori pronti a investirci («facevano a gara» raccontò lo stesso autore). Eppure il salto dalla logline (le poche righe in cui si riassume una storia) allo script non fu per lo sceneggiatore così semplice. Mantenere vivo un ricordo, mentre lo stesso viene cancellato, fu oggetto di accese discussioni tra lui e Gondry che durarono mesi.

Il film racconta dell’amore finito tra Joel e Clementine. Lui è un ragazzo tranquillo, mite, metodico, in cerca di un centro, un pilone che gli faccia ombra così da nascondere al mondo i tremori della sua insicurezza. Lei, invece, è una giovane inquieta, cangiante come il colore dei suoi capelli, a cui lui affida il compito di salvarlo dalle sue fragilità. Un peso troppo grande per una sfuggente anima selvaggia. I due si amano tantissimo, poi non si comprendono più, soffrono, si lasciano. Succede quel che succede quando la voglia di stare insieme si consuma, come una candela, solo da un lato, mentre dall’altro c’è chi si aspetta un ritorno e nel mentre si perde nella sofferenza, nell’attesa di un cenno, di un segnale.

Joel rivede Clementine e sembra l'incontro tra due persone che non si sono mai conosciute («Che spreco passare tanto tempo con una persona, solo per scoprire che è un'estranea»). La verità è che lei si è rivolta a una società, chiamata Lacune, specializzata nella cancellazione dei ricordi. Ferito e impotente, decide di sottoporsi anche lui alla stessa procedura, ma al momento di perdere schegge di bellezza del suo passato, nonostante siano ora così appuntite da ferirlo, Joel capisce all'ultimo momento, quando ormai è un fuga nella sua stessa mente per proteggere ciò che è vicino alla distruzione, che non vuole lasciare andare nulla: non quell’incontro casuale sul treno, non quella lite in casa, non quell’istante vicini su un lago ghiacciato.

Vale la pena sopportare il peso di quello che è stato e non ci appartiene più, o è meglio ripulire la lavagna, cancellare la mente e così anche quella felicità agrodolce che è linfa di vita anche quando è amara come il fiele? Nell’andirivieni di sentimenti semi-sbiaditi e poi rivitalizzati, la storia tra Joel e Clementine diventa un’anomalia della mente in cui in loop i due si rivedono come la prima volta, si amano, intuiscono un’affinità e ricominciano, per poi crashare ancora. Chissà per quante volte, chissà per quante vite candide, illuminate e poi di nuovo offuscate dalla perdita, fin che oblio non le separi.

Giornalista
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