Adiòs, Raffaella. Qué dolor! Qué dolor!

Come disse Almodovar Raffaella Carrà «non è solo una donna, è uno stile di vita». Ha fatto scoppiare il cuore da Trieste in giù e ben oltre. Un monumento per noi e una Virgen da portare in trionfo in processione nell’universo latino

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di Carla Monteforte
6 luglio 2021
08:34
Raffaella Carrà
Raffaella Carrà

Nei mesi di confinamento la mia anima smarrita ha cercato spesso rifugio a Madrid, il luogo del mondo che in assoluto è il mio luogo. Il secondo millennio era appena iniziato quando volai alla volta della ciudad que nunca duerme e prima di partire due drag queen mi intimarono: «Non tornare senza aver condotto 5 programmi di successo come Raffaella Carrà!».

La notte era la mia dimensione e quella di Chueca era la notte di “Rafaella”. L’interminabile processione degli insonni finiva sempre con una discesa negli inferi di Calle San Bartolomé dove tra le mille incognite che la città riserva c’era un’unica certezza: “Para hacerbienel amor hayque venir al sur”. Perché come disse Almodovar Raffaella Carrà «non è solo una donna, è uno stile di vita». Ha fatto scoppiare il cuore da Trieste in giù e ben oltre. Un monumento per noi e una Virgen da portare in trionfo in processione nell’universo latino. La più amata dagli italiani e la mas querida dagli spagnoli.


Unica straniera autorizzata a volteggiare fasciata negli orli flamenchi senz’essere tacciata di appropriazione culturale: perché Raffaella era il flamenco. Un fenicottero biondo che esplode incendiando il buio di arcobaleno. Una rivoluzionaria per caso. Una ribelle preterintenzionale. La leggenda della porta accanto. Nostra e di altri come la Gioconda ma dai capelli oro come quell’edad di liberazione sessuale che furono gli anni ’80 del dopo Franco che confluirono naturalmente nei ’90 di Raffaella le cui braccia materne senza mai essere madre fecero presto capitolare i militanti di quella rivolta chesi trovarono inermi innanzi a codesta fatalità: nulla poterono se non arrendersi e amarla follemente.

E con un pizzico di nostalgia in queste ore la ricordano Rossy De Palma, Fangoria e tutti i figli di quel fermento che nacque dopo l’oppressione. La ricorda Pedro Sanchez e le principali testate spagnole. Tve ha cancellato la programmazione per renderle omaggio. Un altro che si aggiunge agli infiniti tributati ogni notte per losbarrios dove non esiste fiesta senza “Fiesta”. Non sorprenda che “Ballo ballo”, primo musical ispirato al suo repertorio (Amazon Prime), sia opera di un autore iberico.

Sono gli anni ’70, il Caudillo è ancora vivo e con lui l’impietoso centimetro della censura che misura le gonne delle soubrette. Una ragazza capita per caso su un set e ha inizio un golpe culturale. Come nell’Italia puritana e bigotta sconvolta da un ombelico che fu epicentro involontario di un terremoto sociale. Mai come adesso sarebbe necessaria quella ola di favolosità che abbattemuri con la leggerezza di un casquet. Bandiera italiana nel mondo e bandiera rainbow nel mondo gay. Icona queer senza capirne mai il perché. È stata la nostra Judy Garland, Raffaella Carrà. E se come leggenda narra fu la morte di Dorothy a scatenare i moti di Stonewall, non c’è da stare tranquillidalle parti del Senato.

Inutile dirlo, a Madrid non condussi alcun programma (tanto meno di successo). Ogni notte, però, qualcuno mi urlava «Italiana? Rafaella!» e innanzi a me si apriva quel vaso di fagioli zeppo di incognite chiamato libertà di cui Raffaella Maria Roberta Pelloni è stata bandiera. Ma senza mai cercarlo. Idolo sacro e profano, corpo beatificato in terra, santa e puttana. Immortale come le madonne andaluse che sfilano innanzi ai sexy shop.

Adiòs, amiga. Balla da capogiro fino in cielo e trasforma gli angeli in Carramba boys.

Per noi è caduto il mondo.Qué dolor!

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